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Per sentirci in pace bisogna compensare la frustrazione, in un modo o nell’altro: a volte è sufficiente un esame di coscienza, altre volte serve una drastica rivoluzione esistenziale. Poche però sono le volte in cui si dice reset e poi si cambia davvero, in genere si torna inevitabilmente sugli stessi inutili vizi. Esistono molti modi di vivere un fallimento, sia dal punto di vista emotivo che dal punto di vista sociale.

L’errore maggiore è l’aspirazione iperbolica, cioè porsi come obbiettivo un tipo di realizzazione che il nostro modus vivendi trasforma in un traguardo improbabile. A 40 anni non puoi metterti in testa di sfondare come musicista Pop, e, se non hai mai dipinto, non aspettarti di diventare ricco con i quadri; non dico che queste strade siano impossibili, per carità, le eccezioni esistono, ma sono improbabili. Se a 30 anni non sei un manager, non lo diventerai a 35; se a 35 anni sei inadatto per fare il padre o il marito, non cambierà nulla un lustro dopo.

Il vero segreto, secondo me, è capire che non sia necessariamente un problema. Arriva un punto della nostra esistenza in cui serve un’analisi razionale delle nostre potenzialità e un successivo incanalamento delle stesse verso un regime di vita soddisfacente. Conosco molti adulti frustrasti, spesso prigionieri di esistenze nate proprio dopo il reset. Ci sono persone che, per dare una svolta a una vita senza amore, senza lavoro, senza hobby, hanno colto le primissime occasioni capitate in modo aggressivo e apparentemente profondo, per trovarsi tempo dopo prigionieri di loro stessi.

In cuor mio sono felice delle mie scelte: ho detto no all’amore quando comunque mi sono reso conto che la relazione comportasse più malus che momenti di benessere; ho detto no a situazioni professionali inadatte a me e potenzialmente logoranti; ho detto no a tutta la retorica dell’alibi, al dover sempre dare una spiegazione quando la mia vita appare convenzionalmente come quella di un fallito. E mi piace.

Negli ultimi anni ho ricevuto tante proposte di collaborazione, spesso arrivate da persone a cui piaceva qualcosa di me o che addirittura vedevano in me delle potenzialità diverse dalla norma. Ma hanno sempre imposto le loro condizioni e a un certo punto sembrano essersi chiesti come mai non combattessi per contrastarle. Puoi lavorare sottopagato, ma non puoi farlo gratis. E spesso ci si affida a chi ti offre lo stesso servizio per 100 euro in meno. Non importa che magari sia molto inaffidabile, chi si ne frega: funziona così.

Noi giovane partita iva, siamo la generazione della gavetta: facciamo gavetta da 10 anni e la faremo per altri 10, finché non avremo la decenza di toglierci la vita e lasciare questo mondo a quelli che “se ascolti me, poi cresci!!”

2 giorni fa ho twittato Non ho figli perché non mi va di spiegar loro un giorno che i padroni del mondo siano i figli di papà. E ne resto convinto. I miei amici che hanno fatto qualcosa di buono, erano figli di papà, persone cioè che potevano permettersi di non fare un cazzo nel momento in cui noi altri eravamo obbligati a far qualcosa. E il mondo va così, in genere chi ti invita a fare sacrifici, non ne ha mai fatti davvero.

… e rimetti a noi i nostri debiti.

Lo avevano convinto. Era ormai persuaso che i suoi non fossero che pretesti e inutili alibi. Poi successe. Successe di trovarsi in mezzo a quel mondo che gli era stato negato… successe di provare piacere. Certe sfumature non possono essere spiegate con le parole, perché la percezione di certi contesti è assolutamente complessa. Credo non sia solo una questione di persone: è più un concatenamento di situazioni e meccanismi sociali circoscritti e singolari, è una coralità profonda e spesso sottovalutata. L’unico modo in cui lo so raccontare è questo: è come se cinque/sei persone, sognassero contemporaneamente ad occhi aperti.

Ed è magico, risplende di un ottimismo spesso paradossale con lo stato effettivo della realtà circostante. Non esiste malinconia, non esiste rimorso. Esiste solo la consapevolezza di aver fatto parte, un giorno passato, di una complessa ed estesa macchina vincente. La pausa era davvero tale, e aveva un sapore intenso con il retrogusto del caffè. E poi c’era il sole, che spessoera un alleato ma molte altre volte è un avversario vigliacco. Aveva dimenticato certi profumi e certi suoni; aveva dimenticato quel modo di sorridere; aveva dimenticato quanto amasse il suo lavoro, e parlarne con altri che lo amavano altrettano.

Stare in cantiere è una fortuna che pochi percepiscono, in un mix di goliardia e cameratismo. In passato alcune persone avevano affidato la loro vita nelle sue mani, nonostante fossero molto più adulte ed esperte di lui. Ed è questo che spesso ci si dimentica. No, non sono alibi. Un caro amico aveva scelto di non affrontare un brutto male che lo avrebbe comunque condannato, e lo aveva scelto molto prima di Monicelli. E il loro sistema sociale aveva il cancro e molti lavori onesti non erano che arti in necrosi. Sorrise prima di brindare con una birra al proprio suicidio, sperando che alle nuove generazioni girasse meglio.

Now I could lie by your side
All serrated for you
Down below cancer grows
Weeping waits inside you too
All our rage begs a stage
It’s a waste of time though
And you style seems worthwhile
But this lonely road has turned

Offspring – Vultures