Cunnilingus mancato – Zoofilia unica via!

talia_cherry_picture_by_jonellbiasi64-dagawzrAnche se avrei dovuto, non mi sono chiesto come mai la mia tigre fosse ferita sul dorso e dietro il collo; né mi sono chiesto come mai possedessi una tigre domestica.  Mi sono solo preoccupato di accarezzarla sotto il mento, sperando gradisse. Strana vicenda quella della mia tigre, scappata ad alcuni ragazzi dello zoo di Berlino per portarmi una copia de I Ragazzi dello Zoo di Berlino. La tigre, che per fare in fretta chiamavo brevemente “grosso mammifero predatore alfa della famiglia dei felidi”, appariva piuttosto seccata per le mie continue apologie ai narcotici. Più che altro, non apprezzava il fatto che fossi un pessimo esempio di individuo socialmente integrato, con un lavoro decente e una reputazione solida, capace di godersi le droghe senza diventarne schiavo. È ipotizzabile la deriva cattolica della tigre, piuttosto restia ad accettare il concetto di libero arbitrio. Siamo onesti: come può un animale tanto sottomesso all’istinto, e agli ordini inderogabili di Mistress Mother Natura, adeguarsi alla capacità altrui di prendere decisioni indipendenti da certi vincoli del subconscio?
Su questa riflessione, mi apparve lei.
Era una giunonica e problematica venticinquenne, ex fidanzata di un mio caro amico vincolato a un’ulteriore ragazza problematica. Si chiamava Daniela, e quel giorno indossava un prendisole celeste. I suoi capelli erano spettinati, ma comunque accettabili. Indossava un paio di peeptoe color legno e aveva le unghie degli alluci laccate con smalto argento: esattamente come un personaggio secondario di un telefilm che avevo visto nel pomeriggio precedente. Daniela non era certo di buon umore. Prima mi chiese come mai la tigre fosse ancora viva nonostante le ferite. Poi mi diede una pessima notizia riguardante un’ottima persona. Non seppi risponderle, né confortarla: mi limitai ad osservarla piangere di fronte a me. Fu piuttosto imbarazzante, anche perché attirò l’attenzione di alcuni miei parenti.
«Non è tanto grave», le spiegò Romina, un mio zio ermafrodita morto quando ero ancora bambino. «Potresti essere nata con un seno più piccolo», aggiunse un’altra defunta parente, «e questo ti renderebbe meno popolare».
Le considerazioni sulle forme giunoniche non rallegrarono Daniela, né la lusingarono: era ancora concentrata sulla pessima notizia che l’aveva fatta esplodere in lacrime. Nemmeno la tigre le fu di conforto, visto che comincio ad annusarla all’altezza della vagina. Per un istante immaginai che per una donna potesse essere piacevole essere leccata lì da una lingua tanto larga e rasposa. Poi pensai a tutti i batteri che probabilmente si addensavano nella lingua di un felino, un organo che quegli animali utilizzano per rimuoversi la merda dal buco del culo. E spinto da questa consapevolezza, nonché dal mio ben noto spirito compassionevole, chiesi a Daniela se potessi fare qualcosa per lei, cunnilingus compreso.
Ma per qualche bizzarra ragione, suonò la sveglia e mi ritrovai nel letto. Ricordo le lenzuola in seta, le mie preziosissime e costose lenzuola di seta, macchiate di rosso. Percepivo una strana puzza di stalla rimescolata all’odore di macelleria. Nutrivo un’ansia piuttosto eccitante, perversa, innaturale, ma istintiva. Palpitavo. Avevo un sapore strano in bocca, come di carne cruda. Ero tutto sudato, con il cazzo bello duro.  Le mie mani tremavano per l’adrenalina. Non mi sentivo così da quando ero ancora un timido tredicenne cattolico al cospetto di suor Mary, pronta a sodomizzarmi con uno strapon a forma di Padre Pio. Quindi individuai i resti sbranati di Daniela ancora sul pavimento. La tigre, distesa a pancia in su, ruttava oramai sazia.

Lo Strap-on alla regola – bozze annesse

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Quel mattino di settembr Mary virgola affascinante nella tutina in latice nero virgola si accomodò nel divano in sala e attese che l’aspirante schiavo gattonasse fino ai suoi piedi punto Con indosso un Scomodamente travestito da cameriera francese virgola piuttosto ridicolo per un uomo tanto grasso virgola il sottomesso trentasettenne completava il proprio compito punto
e a capo
La vista dei piedi de maiuscola La Padrona era un piacere che pochi schiavi si po lo avrebbe dovuto stimolare alla gratitudine punto e virgola eppure minuscola lo schiavo non parve entusiasta al cospetto delle schiav degli alluci laccati con smalto color porpora punto Mary se ne accorse virgola e colpì quella merdacc concluse mentalmente di aver sacrificato l’ennesimo pomeriggio per l’incapace di turno punto
e a capo
La maiuscola Padrona ordinò al minuscola sottomesso di maiuscola solo sull’articolo determinativo seguirLa in camera da letto sull nella stanza delle torture virgola che era piuttosto canonica inusuale due punti una branda da ambulatorio medico virgola il cadavere di un due caschi da speleologo virgola un disco di Tiziano Ferro apri parentesi per commento sarcastico del resto si trattava della stanza delle torture chiudi parentesi dopo il commento sarcastico che probabilmente non ha fatto ridere nessunovirgola un ventilatore virgola mestoli da cucina in acciaio inossidabile virgola colla vinilica virgola e una scatola di puntine da disegno punto Alle pareti virgola foto a colori di gattini punto
e a capo
«Il mio arredatore aveva finito le stampe sadomaso» virgola constatò ironicamente maiuscola La Mistress punto virgola «ma confido sulla tua fantasia e capacità di improvvisazione» punto
«Ogni luogo è perfetto pur di stare con È irrilevante» virgola constatò erroneamente minuscola il sottomesso virgola dimenticandosi titoli e liturgie necessarie durante una sessione di sottomissione punto In un momento differente virgola e con molto più tempo a disposizione virgola Mary avrebbe probabilmente fatto notare virgola e certamente punito ennesima virgola la mancanza punto Ma arance sale dentifricio deodorante per il bagno in quel preciso momento non vedeva l’ora di porre fine alla sessione a quell’insulso momento di nullità iperbolica punto
e a capo
«Masturbati Spogliati» virgola ordinò prontamente virgola «e toccati segati» punto
Lo minuscola schiavo obbedì punto La maiuscola Padrona lo osservò farsi una seg masturbarsi virgola constatando mentalmente le ridicole dimensioni oversize assolutamente nella media del pene del minuscola sottomesso punto Sorrise virgola sorrise rendendosi conto di non essersi poi persa nulla di che punto Alla vista delle poche gocce di sborra sperma dell’eiaculazione virgola Mary annuì punto «Ora levati dai coglioni» virgola ordinò subito punto
«Tutto qui punto di domanda» protestò il lo minuscola schiavo punto
La maiuscola Padrona annuì sputand sollevò le spalle due punti «Dovrei essere io a dire tra virgolette tutto qui? chiuse virgolettvirgola affermò dispiaciuta per il proprio prezioso tempo sprecato punto
Lo minuscola schiavo accettò la decisione sperava in qualcosa di più hardcore punto Ma quel pomeriggio non vi fu nessuno strap on alla regola punto 

continua doman FINE

Rock and roll star.

Parzialmente ispirata da Don’t Look Back in Anger, nel blog meraviglioso di Quidmarino

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Vivi la tua vita in città, senza alcuna via di uscita.
Le serate le trascorri al bar. Frequenti gli amici di sempre, che poi non sono nemmeno amici, ma una compagnia. Le amicizie non esistono, solo persone con cui sprecare assieme il troppo tempo inutile. Non hai una persona a cui confidare i tuoi tormenti, e perciò bevi.
Da queste parti chi lavora in un pub raccoglie più confessioni dei preti, nonché consensi. Fai la comunione con i chips & fish, che sono tanto fottutamente buone da lasciarti credere che forse siano più adatte dell’ostia per il ruolo di Corpo di Cristo.
La rissa non è una deriva sociale, ma puro folklore. Non ci si picchia per rabbia, ma per tenersi allenati a vicenda. Si fa a botte finché non si perdono i sensi. E spesso chi ti manda KO veglia su di te finché non ti risvegli. Poi tornate a casa assieme, chiamandovi “amico” a vicenda.
Chiudi la giornata in mutande, dopo aver lavato i denti, ascoltando una di quelle stazioni radiofoniche che mandano Bowie, poi i Quiet Riot, ancora Bowie, i Joy Division, Bowie e i Mott The Hoople (la canzone con Bowie).
L’ultima sigaretta la condividi con l’emicrania da sbronza e rissa, rimasticando un’immagine mentale color porpora, tagliata come i vecchi filmini della tua infanzia, sui Super8. Quei filmini con la tua famiglia sorridente e tutt’altro che felice. La famiglia appunto, quella roba a cui tu non pensi mai. Del resto hai visto come sono finiti Ian Curtis e Deborah: prima o poi si incontra Annik.
Però non sei solo. Hai una fidanzata di cui non conosci il secondo nome, né il cognome, né l’indirizzo di casa. Ci stai assieme perché scopa bene, anzi, perché non le fa schifo scopare con te. Vi vedete ogni tre giorni. Vi divertite per venti/trenta minuti e poi vi rilassate con qualche sterlina d’erba. A volte lei ti telefona, ma solo se ha bisogno di un passaggio. Tu invece non la chiami mai. Del resto non avresti nulla da raccontarle. Non sei mica bravo con le parole. Ogni volta che vuoi esprimere un’emozione, accendi lo stereo e lasci che qualcun altro lo faccia al posto tuo. Tu ti limiti a livellare il volume, rigorosamente fastidioso. Se sei incazzato, lasci che i Sex Pistols urlino al tuo posto. Se sei triste, assecondi la malinconia dei Bahuaus. E quando sei felice… beh, non sei mai felice.
Sei il re del cibo in scatola. Sei quel genere di personaggio che alle diete macrobiotiche preferisce il digiuno. Non sei mai andato a correre in vita tua. Lo sport lo segui solo in Tv. Quando vai a giocare a calcio, lo fai nella speranza di fare a botte con i ragazzi dell’altro rione. Hai trascorso gli anni della scuola ad annusare il meglio della letteratura inglese, ma poi hai scoperto il punk, il glam e il glam in chiave punk. Hai imparato l’importanza del muro di chitarre, e di testi privi di senso come quello di Supersonic. E c’eri anche tu a Knebworth Park, assieme ad altre 165000 persone, ad osservare i fratelli Gallagher mettere in scena una set list da serata al club, suonata freneticamente. Gli Oasis che quella notte ribadirono con un ruvido rock and roll quanto gli inglesi siano probabilmente animali da Pub anche nei grandi spazi. E tu in mezzo, a brillare, come una delle 165000 stelle del Rock and roll. Quella notte eri una stella del rock and roll e nient’altro. Solo una stella del rock and roll. E alla fine, sulle note di I am the Walrus, eri ancora ubriaco di Champagne Supernova.

Oasis – Rock and roll star.

I live my life in the city
There’s no easy way out
The day’s moving just too fast for me
I need some time in the sunshine
I gotta slow it right down
The day’s moving just too fast for me
I live my life for the stars that shine
People say it’s just a waste of time
Then they say I should feed my head
That to me was just a day in bed
I’ll take my car and drive real far
They’re not concerned about the way we are
In my mind my dreams are real
Now we’re concerned about the way I feel
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
I live my life in the city
There’s no easy way out
The day’s moving just too fast for me
I need some time in the sunshine
I gotta slow it right down
The day’s moving just too fast for me
I live my life for the stars that shine
People say it’s just a waste of time
Then they say I should feed my head
That to me was just a day in bed
I’ll take my car and drive real far
They’re not concerned about the way we are
In my mind my dreams are real
Now we’re concerned about the way I feel
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
You’re not down with who I am
Look at you now you’re all in my hands tonight
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll

BDSM – Brodo Dado Sedano Minestra – Sottomissione domestica – 1

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Tutti gli schiavi avevano ricevuto l’ordine di raggiungere la sala principale per l’iniziazione di Anna; vestiti di tutine di pelle, stivali e maschere di lattice, si erano inginocchiati l’uno dopo l’altro ai piedi del cerimoniere, per baciargli devotamente la punta del grosso pene eretto.
Quella notte, dovevano esserci più atti di devozione che parole, più interazioni tattili che visive, e un enorme desiderio reciproco di ripetere nuovamente quell’orgiastica esperienza in futuro. Le frustrate risuonarono severe, costanti e abbondanti, mentre mugolii e sospiri vennero soffocati dalle ball gag. Proprio come era stato un mese e mezzo prima, all’iniziazione di Martino, Anna venne consegnata al cerimoniere dalla propria Mistress. La candidata era una diciannovenne bionda, alta poco meno di un metro e sessanta; le sue forme erano asciutte, quasi androgine; i capelli ricci, ma tagliati molto corti; il taglio degli occhi e le labbra carnose erano, assieme alle mani e i piedi minuscoli, gli unici indici definiti di femminilità. Era stata truccata con eyeliner e rossetto azzurro, vestita di una tutina scura a cui il cerimoniere aveva appena squarciato un grosso lembo, largo poco meno di un disco 45 giri, appena sotto la spalla sinistra.
«È una ragazza piuttosto giovane e ingenua per un passaggio del genere», commentò sottovoce Massimo, uno dei master più esperti, «tra qualche anno potrebbe pentirsi di ciò che stanno per farle».
«È questo che mi eccita», rivelò Cristina, sua moglie, anche lei dominatrice. «In cuor mio auspico anzi che ci ripensi tra un’ora».
A queste considerazioni ne seguirono di analoghe, alcune espresse esplicitamente, altre circoscritte a silenziose riflessioni personali.
Al centro della sala era stato posizionato un inginocchiatoio in castagno intagliato. I presenti osservarono il cerimoniere trascinare la schiava per un breve tratto, quindi afferrarla per i capelli e ordinarle di disporsi sull’inginocchiatoio. La candidata eseguì; e quando le venne ordinato di mettere i polsi dietro la schiena, obbedì.
Era venuto il momento di iniziarla al proprio ruolo, a lasciarle sul corpo un segno definitivo del proprio ruolo, un segnale che andasse ben oltre le semplici parole e banali liturgie da 50 sfumature di grigio: era giunto il momento di insegnarle fisicamente l’entità profonda della brutalità della dominazione e la passiva accettazione della stessa.
«Inginocchiata blasfema», cominciò il cerimoniere in attesa che gli passassero il ferro rovente, «rinunci innanzitutto all’inutile dio cattolico affibbiatoti alla nascita, abbracciando invece solennemente la divinazione di un’entità terrena», proseguì improvvisando enfaticamente. «Con un marchio sulla pelle sarai schiava fino alla morte. E non di chi ti riterrà degna, perché degna non lo sarai mai; ma di chi sarà abbastanza magnanimo e paziente da dare un senso alla tua inutile e patetica vita da sottomessa», concluse ricevendo il timbro a caldo, raffigurante una doppia “S” circoscritta in un serpente ad arco di cerchio.
In occasioni come quella, soltanto pochi dominatori riuscivano a completare la cerimonia. Al momento di poggiare la lastra rovente sulla carne, le mani tremavano, così come le ginocchia, perché marchiare a fuoco una persona è un’azione che richiede determinazione, ma anche sangue freddo. Il cerimoniere non temeva certo le urla di dolore, né la puzza della carne bruciata, né la consapevolezza che Anna, una volta marchiata, avrebbe probabilmente perso i sensi o il controllo della vescica.
E infatti, dopo che la diciannovenne venne marchiata, sottomessi, dominatrici e dominatori applaudirono. Ma non tutti avevano guardato. Non tutti erano riusciti a sostenere la vista della bionda che si contorceva soffocando gli spasmi di dolore. Non tutti avevano soffocato la debolezza umana di provare un’irragionevole pietà verso un dolore consapevole, cercato e assolutamente accettato.
Cristina invece, più fradicia di una diga in inverno, offrì la propria bocca a Massimo, in un bacio appassionato tra Master e Mistress, con i reciproci sottomessi in ginocchio ai loro piedi, tenuti al guinzaglio; e non appena fu sazia di quella danza di lingue in salsa di saliva, confidò la propria eccitazione: «non vedo l’ora che marchino i nostri schiavi», affermò entusiasta, «non vedo l’ora che mi venga chiesto se voglio o meno un cerimoniere», proseguì sadica.
«Vuoi farlo tu?» chiese il marito.
«No», rispose laconica Cristina.
Massimo rabbrividì.

Immagine presa dal web a questo indirizzo.

JD scrubs ultime parole. Marshall How I Met Your Mother Padre Ultime Parole.

La schiava sarda – pt. 6

«Gradisce un caffè?» si informa Marina, una volta raggiunto il tavolo del tedesco che, compiaciuto e soddisfatto, si gode una bistecca al sangue.
Andy annuisce, sollevando lo sguardo. «Perché sei vestita come una cameriera francese?» la interroga incuriosito.
«Perché sono una cameriera. E perché sono francese», rivela sinceramente lei, fornendo però una risposta imprecisa.

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La schiava Sarda – pt. 5

«Es gibt nur zwei gute Weiber auf der welt», sibila sottovoce, con compassata ironia, il tedesco. «Die Ein ist gestorben, die Andere nicht zu finden».
Francesca non ha capito, ma non ha intenzione di chiedere spiegazioni. Si limita ad allontanarsi.c57a8293-9452-4509-b563-db6d12fed718

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La schiava sarda – pt. 3

«Se non sai dominare una donna», afferma Marina, «non travestirti da padrone, Arschloch
Jürgen si appresta a rimarcare la propria posizione, ma qualcosa manda in frantumi uno dei vetri nell’unica finestra. È stata una fucilata, sparata da non meno di duecento metri.
«Addio!» sibila Francesca, osservando la scena attraverso il mirino telescopico dell’arma.

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Continua a leggere “La schiava sarda – pt. 3”

La schiava Sarda – pt. 2

«Arrivo!» annuncia Jürgen.
«Sì, Signore», risponde la schiava, distendendo un tappeto ai piedi del letto e inginocchiandosi.ed41b952-d5d4-4848-8d40-520ae4412cef
Continua a leggere “La schiava Sarda – pt. 2”