Anche se avrei dovuto, non mi sono chiesto come mai la mia tigre fosse ferita sul dorso e dietro il collo; né mi sono chiesto come mai possedessi una tigre domestica. Mi sono solo preoccupato di accarezzarla sotto il mento, sperando gradisse. Strana vicenda quella della mia tigre, scappata ad alcuni ragazzi dello zoo di Berlino per portarmi una copia de I Ragazzi dello Zoo di Berlino. La tigre, che per fare in fretta chiamavo brevemente “grosso mammifero predatore alfa della famiglia dei felidi”, appariva piuttosto seccata per le mie continue apologie ai narcotici. Più che altro, non apprezzava il fatto che fossi un pessimo esempio di individuo socialmente integrato, con un lavoro decente e una reputazione solida, capace di godersi le droghe senza diventarne schiavo. È ipotizzabile la deriva cattolica della tigre, piuttosto restia ad accettare il concetto di libero arbitrio. Siamo onesti: come può un animale tanto sottomesso all’istinto, e agli ordini inderogabili di Mistress Mother Natura, adeguarsi alla capacità altrui di prendere decisioni indipendenti da certi vincoli del subconscio?
Su questa riflessione, mi apparve lei.
Era una giunonica e problematica venticinquenne, ex fidanzata di un mio caro amico vincolato a un’ulteriore ragazza problematica. Si chiamava Daniela, e quel giorno indossava un prendisole celeste. I suoi capelli erano spettinati, ma comunque accettabili. Indossava un paio di peeptoe color legno e aveva le unghie degli alluci laccate con smalto argento: esattamente come un personaggio secondario di un telefilm che avevo visto nel pomeriggio precedente. Daniela non era certo di buon umore. Prima mi chiese come mai la tigre fosse ancora viva nonostante le ferite. Poi mi diede una pessima notizia riguardante un’ottima persona. Non seppi risponderle, né confortarla: mi limitai ad osservarla piangere di fronte a me. Fu piuttosto imbarazzante, anche perché attirò l’attenzione di alcuni miei parenti.
«Non è tanto grave», le spiegò Romina, un mio zio ermafrodita morto quando ero ancora bambino. «Potresti essere nata con un seno più piccolo», aggiunse un’altra defunta parente, «e questo ti renderebbe meno popolare».
Le considerazioni sulle forme giunoniche non rallegrarono Daniela, né la lusingarono: era ancora concentrata sulla pessima notizia che l’aveva fatta esplodere in lacrime. Nemmeno la tigre le fu di conforto, visto che comincio ad annusarla all’altezza della vagina. Per un istante immaginai che per una donna potesse essere piacevole essere leccata lì da una lingua tanto larga e rasposa. Poi pensai a tutti i batteri che probabilmente si addensavano nella lingua di un felino, un organo che quegli animali utilizzano per rimuoversi la merda dal buco del culo. E spinto da questa consapevolezza, nonché dal mio ben noto spirito compassionevole, chiesi a Daniela se potessi fare qualcosa per lei, cunnilingus compreso.
Ma per qualche bizzarra ragione, suonò la sveglia e mi ritrovai nel letto. Ricordo le lenzuola in seta, le mie preziosissime e costose lenzuola di seta, macchiate di rosso. Percepivo una strana puzza di stalla rimescolata all’odore di macelleria. Nutrivo un’ansia piuttosto eccitante, perversa, innaturale, ma istintiva. Palpitavo. Avevo un sapore strano in bocca, come di carne cruda. Ero tutto sudato, con il cazzo bello duro. Le mie mani tremavano per l’adrenalina. Non mi sentivo così da quando ero ancora un timido tredicenne cattolico al cospetto di suor Mary, pronta a sodomizzarmi con uno strapon a forma di Padre Pio. Quindi individuai i resti sbranati di Daniela ancora sul pavimento. La tigre, distesa a pancia in su, ruttava oramai sazia.
Tag: jazz
Rock and roll star.
Parzialmente ispirata da Don’t Look Back in Anger, nel blog meraviglioso di Quidmarino
Vivi la tua vita in città, senza alcuna via di uscita.
Le serate le trascorri al bar. Frequenti gli amici di sempre, che poi non sono nemmeno amici, ma una compagnia. Le amicizie non esistono, solo persone con cui sprecare assieme il troppo tempo inutile. Non hai una persona a cui confidare i tuoi tormenti, e perciò bevi.
Da queste parti chi lavora in un pub raccoglie più confessioni dei preti, nonché consensi. Fai la comunione con i chips & fish, che sono tanto fottutamente buone da lasciarti credere che forse siano più adatte dell’ostia per il ruolo di Corpo di Cristo.
La rissa non è una deriva sociale, ma puro folklore. Non ci si picchia per rabbia, ma per tenersi allenati a vicenda. Si fa a botte finché non si perdono i sensi. E spesso chi ti manda KO veglia su di te finché non ti risvegli. Poi tornate a casa assieme, chiamandovi “amico” a vicenda.
Chiudi la giornata in mutande, dopo aver lavato i denti, ascoltando una di quelle stazioni radiofoniche che mandano Bowie, poi i Quiet Riot, ancora Bowie, i Joy Division, Bowie e i Mott The Hoople (la canzone con Bowie).
L’ultima sigaretta la condividi con l’emicrania da sbronza e rissa, rimasticando un’immagine mentale color porpora, tagliata come i vecchi filmini della tua infanzia, sui Super8. Quei filmini con la tua famiglia sorridente e tutt’altro che felice. La famiglia appunto, quella roba a cui tu non pensi mai. Del resto hai visto come sono finiti Ian Curtis e Deborah: prima o poi si incontra Annik.
Però non sei solo. Hai una fidanzata di cui non conosci il secondo nome, né il cognome, né l’indirizzo di casa. Ci stai assieme perché scopa bene, anzi, perché non le fa schifo scopare con te. Vi vedete ogni tre giorni. Vi divertite per venti/trenta minuti e poi vi rilassate con qualche sterlina d’erba. A volte lei ti telefona, ma solo se ha bisogno di un passaggio. Tu invece non la chiami mai. Del resto non avresti nulla da raccontarle. Non sei mica bravo con le parole. Ogni volta che vuoi esprimere un’emozione, accendi lo stereo e lasci che qualcun altro lo faccia al posto tuo. Tu ti limiti a livellare il volume, rigorosamente fastidioso. Se sei incazzato, lasci che i Sex Pistols urlino al tuo posto. Se sei triste, assecondi la malinconia dei Bahuaus. E quando sei felice… beh, non sei mai felice.
Sei il re del cibo in scatola. Sei quel genere di personaggio che alle diete macrobiotiche preferisce il digiuno. Non sei mai andato a correre in vita tua. Lo sport lo segui solo in Tv. Quando vai a giocare a calcio, lo fai nella speranza di fare a botte con i ragazzi dell’altro rione. Hai trascorso gli anni della scuola ad annusare il meglio della letteratura inglese, ma poi hai scoperto il punk, il glam e il glam in chiave punk. Hai imparato l’importanza del muro di chitarre, e di testi privi di senso come quello di Supersonic. E c’eri anche tu a Knebworth Park, assieme ad altre 165000 persone, ad osservare i fratelli Gallagher mettere in scena una set list da serata al club, suonata freneticamente. Gli Oasis che quella notte ribadirono con un ruvido rock and roll quanto gli inglesi siano probabilmente animali da Pub anche nei grandi spazi. E tu in mezzo, a brillare, come una delle 165000 stelle del Rock and roll. Quella notte eri una stella del rock and roll e nient’altro. Solo una stella del rock and roll. E alla fine, sulle note di I am the Walrus, eri ancora ubriaco di Champagne Supernova.
Oasis – Rock and roll star.
I live my life in the city
There’s no easy way out
The day’s moving just too fast for me
I need some time in the sunshine
I gotta slow it right down
The day’s moving just too fast for me
I live my life for the stars that shine
People say it’s just a waste of time
Then they say I should feed my head
That to me was just a day in bed
I’ll take my car and drive real far
They’re not concerned about the way we are
In my mind my dreams are real
Now we’re concerned about the way I feel
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
I live my life in the city
There’s no easy way out
The day’s moving just too fast for me
I need some time in the sunshine
I gotta slow it right down
The day’s moving just too fast for me
I live my life for the stars that shine
People say it’s just a waste of time
Then they say I should feed my head
That to me was just a day in bed
I’ll take my car and drive real far
They’re not concerned about the way we are
In my mind my dreams are real
Now we’re concerned about the way I feel
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
You’re not down with who I am
Look at you now you’re all in my hands tonight
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
Tonight I’m a rock ‘n’ roll star
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
It’s just rock ‘n’ roll
Tra parenti, sì.
I parenti che speri non vengano a trovarti. Quelli che invece speri nemmeno ti chiamino. Quelli con cui inventi scuse per non farti trovare. Quelli che ti trovano comunque. Quelli che trovano divertente attaccarsi al citofono. Quelli che da trentacinque anni salutano con “buongiorgio“. Quelli che si presentano a casa tua alle 13:00, quando sei oramai seduto a tavola. Quelli che “non vogliamo disturbare”, ma disturbano ugualmente. Quelli che si sono dimenticati la discrezione. Quelli che proprio non l’hanno mai imparata. Quelli bugiardi. Quelli bugiardi e presuntuosi. Quelli bugiardi e presuntuosi e saccenti. Quelli che si muovono portandosi dietro i suoceri. Quelli che si portano dietro suoceri più irritanti dell’acido solforico. Quelli che vanno al mare a mezzogiorno. Quelli che fanno un sacco di foto. Quelli che, anche se non ti importa, poi le foto te le mandano via Whatsapp. Quelli che, non trovandoti su Whatsapp, ti cercano su Telegram. E su Instagram. E su WordPress. Quelli che “rifatti Facebook, così vedi le foto”. Quelli che per farti vedere quelle strafottutte foto (piedi, tramonti e piedi al tramonto) ti aprirebbero le palpebre come accade al povero Alex DeLarge in Arancia Meccanica. Quelli che non hanno visto Arancia Meccanica perché, dicono, è noioso. Quelli che hanno visto cento volte l’inizio di Full Metal Jacket, eppure non ne conoscono il finale. Quelli che non hanno riso per Il Dottor Stranamore. Quelli che confondono Jeremy Irons con James Mason. Quelli che hanno fatto la naja. Quelli che durante la naja non le prendevano mai, dicono. Quelli che non le hanno mai prese, dicono, e che una volta sono usciti con Federica Fontana. Quelli che abitavano nel condominio di Del Piero. Quelli che “forse non lo sai, ma Del Piero è gay”. Quelli che malauguratamente hanno poi davvero incontrato Del Piero, ma, nonostante le nostre sollecitazioni, non si sono però avvicinati a ricordargli di quando abitavano nello stesso condominio. Quelli che “lasciamo in pace Alex, che si infastidisce”. Quelli che si infastidiscono se insisti. Quelli che si infastidiscono all’idea di risultare indifferenti. Quelli che si incazzano quando si rendono conto di risultare effettivamente indifferenti. Quelli che, se non ti fossero parenti, non frequenteresti nemmeno dopo tortura. Quelli che la tortura è frequentarli. Quelli che non sanno di essere i parenti che tu speri non vengano mai a trovarti. E torturarti. E tra parenti: sì, avete rotto i coglioni!
Bonucci al milan