Lo Strap-on alla regola – bozze annesse

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Quel mattino di settembr Mary virgola affascinante nella tutina in latice nero virgola si accomodò nel divano in sala e attese che l’aspirante schiavo gattonasse fino ai suoi piedi punto Con indosso un Scomodamente travestito da cameriera francese virgola piuttosto ridicolo per un uomo tanto grasso virgola il sottomesso trentasettenne completava il proprio compito punto
e a capo
La vista dei piedi de maiuscola La Padrona era un piacere che pochi schiavi si po lo avrebbe dovuto stimolare alla gratitudine punto e virgola eppure minuscola lo schiavo non parve entusiasta al cospetto delle schiav degli alluci laccati con smalto color porpora punto Mary se ne accorse virgola e colpì quella merdacc concluse mentalmente di aver sacrificato l’ennesimo pomeriggio per l’incapace di turno punto
e a capo
La maiuscola Padrona ordinò al minuscola sottomesso di maiuscola solo sull’articolo determinativo seguirLa in camera da letto sull nella stanza delle torture virgola che era piuttosto canonica inusuale due punti una branda da ambulatorio medico virgola il cadavere di un due caschi da speleologo virgola un disco di Tiziano Ferro apri parentesi per commento sarcastico del resto si trattava della stanza delle torture chiudi parentesi dopo il commento sarcastico che probabilmente non ha fatto ridere nessunovirgola un ventilatore virgola mestoli da cucina in acciaio inossidabile virgola colla vinilica virgola e una scatola di puntine da disegno punto Alle pareti virgola foto a colori di gattini punto
e a capo
«Il mio arredatore aveva finito le stampe sadomaso» virgola constatò ironicamente maiuscola La Mistress punto virgola «ma confido sulla tua fantasia e capacità di improvvisazione» punto
«Ogni luogo è perfetto pur di stare con È irrilevante» virgola constatò erroneamente minuscola il sottomesso virgola dimenticandosi titoli e liturgie necessarie durante una sessione di sottomissione punto In un momento differente virgola e con molto più tempo a disposizione virgola Mary avrebbe probabilmente fatto notare virgola e certamente punito ennesima virgola la mancanza punto Ma arance sale dentifricio deodorante per il bagno in quel preciso momento non vedeva l’ora di porre fine alla sessione a quell’insulso momento di nullità iperbolica punto
e a capo
«Masturbati Spogliati» virgola ordinò prontamente virgola «e toccati segati» punto
Lo minuscola schiavo obbedì punto La maiuscola Padrona lo osservò farsi una seg masturbarsi virgola constatando mentalmente le ridicole dimensioni oversize assolutamente nella media del pene del minuscola sottomesso punto Sorrise virgola sorrise rendendosi conto di non essersi poi persa nulla di che punto Alla vista delle poche gocce di sborra sperma dell’eiaculazione virgola Mary annuì punto «Ora levati dai coglioni» virgola ordinò subito punto
«Tutto qui punto di domanda» protestò il lo minuscola schiavo punto
La maiuscola Padrona annuì sputand sollevò le spalle due punti «Dovrei essere io a dire tra virgolette tutto qui? chiuse virgolettvirgola affermò dispiaciuta per il proprio prezioso tempo sprecato punto
Lo minuscola schiavo accettò la decisione sperava in qualcosa di più hardcore punto Ma quel pomeriggio non vi fu nessuno strap on alla regola punto 

continua doman FINE

La rompipalle – Parte 2

Klaudia ci mise poco ad ambientarsi. Scelse una scrivania e la liberò da ciò che definì “inutile ciarpame”; malauguratamente l’inutile ciarpame era il progetto di un collega di origini irlandesi, il quale non fu felice di ritrovare il lavoro di mesi gettato malamente in un angolo.
«Ti ha dato di volta il cervello?» chiese infatti avvicinandosi alla finnica.
Klaudia scosse il capo. «Volevo star qui», rispose laconica, continuando a lavorare e non prestando un solo sguardo al collega furente.
«Io ti cavo gli occhi, puttana bionda», minacciò lui.
La scandinava lo osservò, sorrise e mostrò il dito medio della sinistra. Alla luce di ciò, Connor, così si chiamava il collega, afferrò uno dei disegni a cui lavorava la bionda e lo appallottolò, gettandolo poi nella pattumiera.
Klaudia, irritata, non reagì immediatamente, ma qualche giorno dopo rovesciò una tazza di tè caldo sopra le carte che affollavano la nuova scrivania del collega. Lui si vendicò passandole alcuni appunti nel tritacarte; lei rilanciò riempiendogli la scrivania di colla.
I dispetti terminarono quando Janet minacciò di licenziare entrambi.
Piuttosto felice dell’assunzione di Klaudia fu invece Max, il capoufficio italoamericano. Max era un quarantacinquenne corpacciuto e insicuro. Si sentiva un discendente di Rodolfo Valentino, ma era più che altro la controfigura del Commissario Winchester. Fiero delle proprie origini, quasi impropriamente, rappresentava quel genere di individuo spedito sul pianeta terra per screditare la leggenda metropolitana “italians do it better“.
Ovviamente, ritrovandosi in ufficio una bionda con seno da pornodiva e visino da bambola, non ci mise molto a partire all’assalto di quello che definiva “un gustoso bocconcino”. Purtroppo per lui, il bocconcino aveva una sessualità piuttosto complessa. Ci sarebbero state parecchie spiegazioni da dare, ma Klaudia rifiutò l’invito a cena con un semplice “no grazie!”
«E perché mai?» incalzò Max con presunzione. «Magari ci divertiamo!»
La finnica sbuffò infastidita. «Ripeto: no grazie!»
«Secondo me ti farebbe bene uscire a cena con qualcuno» insistette il capoufficio.
«Ho già risposto», concluse lei sbuffando.
Giorno dopo giorno l’inglese della bionda migliorava, anche se caratterizzato da frasi piuttosto brevi. In realtà quest’ultimo era quasi un vantaggio, vista la fastidiosa assenza di diplomazia che la contraddistingueva. Lo scoprì malamente Max, quando tornò alla carica con un altro invito a cena. Quella volta la finnica fu molto meno gentile che in precedenza: «sei troppo grasso», affermò senza mezze misure, «sarebbe molto imbarazzante».
Klaudia avrebbe trovato imbarazzante osservare l’italo-americano mangiare. Dal suo bizzarro punto di vista infatti, le persone sovrappeso tendevano ad abbuffarsi grossolanamente come cartoni animati, in una maniera piuttosto grottesca. Il resto dell’ufficio però suppose che quel “molto imbarazzante” fosse invece riferito a un eventuale amplesso. In effetti Max pesava due volte Klaudia, e da nudi facevano una figura piuttosto differente.
La sola che non pensò al sesso fu Kori. Kori era una designer nata e cresciuta a Yokohama, ma trapiantata a Boston nella seconda metà degli anni ’90. La giapponese osservò a lungo la finnica, studiandone il comportamento. Ne apprezzò la solitudine, la passione per il black metal, di cui Klaudia si nutriva quotidianamente per darsi la carica sul lavoro, i riti bizzarri come il pranzo alle 11 del mattino e gli addominali alle 15. Ne intuì anche la sessualità, in particolare scrutandone le reazioni al cospetto dei clienti e, soprattutto, delle clienti. Tuttavia, per quanto avesse il dubbio, non fu mai completamente sicura che Klaudia fosse effettivamente lesbica.
Ma il giorno in cui una giunonica cinquantenne dai capelli rossi mise piede in ufficio, Kori trovò conferma alla propria impressione. La rossa, nota arredatrice di uno studio associato, era una figura carismatica, dominante e affascinante. Era ancora una bella donna, piuttosto raffinata ed elegante nell’abbigliamento e nel modo di parlare. Kori scrutò meticolosamente le reazioni di Klaudia alla presenza della cinquantenne: arrossiva spesso, ridacchiava nervosamente, appariva fisicamente rigida e impacciata nel parlare. Soprattutto sembrava “accendersi” quando la rossa si rivolgeva a lei con frasi imperative.
Così qualche giorno dopo, durante la pausa pranzo, la giapponese rimase sola con la scandinava e affrontò la questione.
«Sei gay!» dichiarò sottovoce, sorridendole teneramente.
Klaudia annuì. «Non esattamente», le rispose imbarazzata.
Kori le sorrise ancora, ma stavolta senza tenerezza. «Se lo scopre Janet, sei fottuta, tesoro»

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La schiava sarda – pt. 6

«Gradisce un caffè?» si informa Marina, una volta raggiunto il tavolo del tedesco che, compiaciuto e soddisfatto, si gode una bistecca al sangue.
Andy annuisce, sollevando lo sguardo. «Perché sei vestita come una cameriera francese?» la interroga incuriosito.
«Perché sono una cameriera. E perché sono francese», rivela sinceramente lei, fornendo però una risposta imprecisa.

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La schiava Sarda – pt. 5

«Es gibt nur zwei gute Weiber auf der welt», sibila sottovoce, con compassata ironia, il tedesco. «Die Ein ist gestorben, die Andere nicht zu finden».
Francesca non ha capito, ma non ha intenzione di chiedere spiegazioni. Si limita ad allontanarsi.c57a8293-9452-4509-b563-db6d12fed718

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La schiava sarda – pt. 4

Autunno 1995
Marghine – Sardegna centro-occidentale

«Chi hai ucciso?» ripete Andrea, il maresciallo.
Francesca si guarda attorno. Nessuno nelle vicinanze!
«Era un tedesco. Non conosco il motivo. Mi è stato ordinato di ucciderlo e ho obbedito».
Il maresciallo annuisce e si congeda. Per ora. c9bc1029-f182-4146-97af-9acc8c247219 Continua a leggere “La schiava sarda – pt. 4”

La schiava sarda – pt. 3

«Se non sai dominare una donna», afferma Marina, «non travestirti da padrone, Arschloch
Jürgen si appresta a rimarcare la propria posizione, ma qualcosa manda in frantumi uno dei vetri nell’unica finestra. È stata una fucilata, sparata da non meno di duecento metri.
«Addio!» sibila Francesca, osservando la scena attraverso il mirino telescopico dell’arma.

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La schiava Sarda – pt. 2

«Arrivo!» annuncia Jürgen.
«Sì, Signore», risponde la schiava, distendendo un tappeto ai piedi del letto e inginocchiandosi.ed41b952-d5d4-4848-8d40-520ae4412cef
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La schiava Sarda – pt. 1

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I fatti che vogliamo raccontarvi iniziano in Sardegna, e più precisamente nel Marghine, subregione centro-occidentale dell’isola. Protagonista è Francesca, una ventunenne che colleziona scacchiere ma che non sa giocare a scacchi. Siamo nell’autunno del 1995, quando le stazioni radiofoniche passano Shy Boy di Diane King e tante altre hit di cui, dopo 22 anni, vi siete probabilmente dimenticati. Continua a leggere “La schiava Sarda – pt. 1”

La danza dei colpi in testo.

Quando sogno, vedo luoghi in perfetto ordine, ma disabitati. La pace è un silenzio post-olocausto. È tutto un gente morta, e risvegli consapevoli. Non è male, è solo allucinante. Faccio fatica senza droghe, ma ne faccio troppa con. Se esistesse un limite all’abuso, non mi basterebbe. Sono circondato da permalosi, che non si può mai dire niente. Sapete cosa intendo, no? Ma se anche non lo sapeste, è semplice mettersi nei miei panni.
Sui social che frequento, leggo le idee altrui. Gran parte è robaccia, ma c’è anche retorica, e tanto inutile ciarpame. Non credo di essere migliore, sono parte della robaccia-retorica-ciarpame 2.0.
Domani è primo Aprile, sarebbe divertente ammazzarmi a colpi di pesce morto. Ma dubito lo troverei divertente. O forse sì. Credo dipenda dall’umore al risveglio. O dal fatto che detesti tutte queste ricorrenze. 1 Aprile compreso.
Sorpreso!
Non rimorchierò mai raccontando di bare vuote o zie morenti. Non rimorchierò mai raccontando di sentirmi pronto a crepare. E dovrei drogarmi meno, o di più. Est Modus in Rebus non vale per i narcotici, né per l’alcol, né per le sborrate. Sborro a fatica con le droghe, sborro quasi nulla senza. E tutto un risveglio morto, e gentaglia consapevole. L’olocausto è un silenzio pacifico. Quando sogno, vedo luoghi in perfetta armonia. Ma privi di suggestione.
Goodbye Kiss!

AA112

Sono uscito a passeggiare. Stamane.
C’era una luna enorme, tipo film apocalittico, ma senza apocalisse.
Dall’altra parte l’alba.
Così ho fatto due calcoli, e ho capito che la luna fosse ad Ovest, probabilmente.
112, uno dei giorni che amo meno.
Si è dimesso Ratzinger 4 anni fa, ma non ricordo l’112 per motivi politico-religiosi.
Fregacazzi del papa.
Anzi mi interessa, ma solo perché mi sta sui coglioni.
Quello nuovo ovviamente, l’argentino. Lo so, Bergoglio è buono e bla bla bla, ma a me sta sul cazzo comunque.
Non ti affezioni a Hitler perché è vegetariano, no?
E quindi non ti affezioni al papa perché segue il calcio, giusto?
Probabilmente no, voi siete meno cinici di me.

Mi piacete cari follower.
Mi piacete perché voi non siete dei lettori, no, voi siete blogger. Mi piace chi sa scrivere.
Voi avete la vostra storia, più o meno pesante, e la raccontate, in modo più o meno romantico.
E questo mi piace.
Qui non ci si sfoga, qui si posta. È diverso.
È intrinseco che sia uno sfogo, non è necessario dichiararlo.
A proposito, mi sono perso.

Di cosa parlavamo? Ah, giusto, la mia passeggiata.

C’era quella cazzo di luna, stamattina intendo.
E l’alba dall’altra parte. A Ovest.
Perché il sole sorge a Ovest, giusto?
No diamine, a Ovest c’era la maledetta luna. A Est il sole che viene su come un cazzo alla vista di una tettona.

E pensavo agli affari miei, tipo mani in tasca e ragionamenti del genere “questa settimana è stata una cacca!!”
Ho ripensato a quel 112. Non l’auto, ma l’11/2.
Ho ripensato al sonno, al nervosismo, alle liti, a tutto quel gelo interiore percepito in quelle ore.
Ho concluso che nonostante tutto potesse andar peggio.
Tipo quella barzelletta dove un uomo precipita dentro un carrello di letame.
Ma ve la racconto un’altra volta, tanto non fa nemmeno ridere.