F.01

Come si riparte? Credo facendo suonare un buon disco e sorseggiando una camomilla. Forse è sufficiente, forse no, ma ha importanza? Servono foglie di Negrita, e note di XXX. Tutto qui, semplicemente. Appesi come spighe di grano in attesa che il vento ci porti via. Fumati, sfumati. Oggi è una di quelle giornate in cui ho ripreso contatto con la realtà. Ho visto il sole sorgere, l’ho visto tramontare. Ho visto le vecchie amicizie mischiarsi alle nuove, un vecchio amore incontrare una nuova ossessione. Ho capito che non ha importanza. Non ci sono risposte a certe domande. Solo il tempo che scorre, nulla di più. Qualche “anche io” che fa piacere. Magari uno spritz. O più semplicemente una birra. E il profumo della miscela di una vecchia moto 2 tempi. Magari i discorsi sui carter. Le foto di un matrimonio a cui nessuno di noi sarebbe voluto andare. Il sapore della torta. O il sapore che ho ora in bocca. Non so, se avete provato il solfato di cocaina mescolato alla marijuana, il sapore che percepisco è quello. E ‘fanculo!

Le dimensioni contano – Parte 50

Luce era intelligente e acuta. Ci vollero dunque pochi minuti per spiegarle che avrebbe trascorso i successivi trent’anni a fare dentro e fuori da un universo all’altro. Non fu semplice per me affrontare quel discorso, perché più parlavo e più mi rendevo conto che mia figlia fosse probabilmente destinata alle stesse sofferenze che avevo patito io. Ma era anche una situazione che non potevo evitare.
«Ma papà?» chiese infine Luce. «Perché qui non viviamo con papà?»
Sorrisi. «Perché non so nemmeno chi sia l’uomo che chiami “papà”».
Mia figlia tacque per alcuni secondi. «Cerchiamolo su Facebook», propose.
Era un’ottima idea. Luce prese il mio Samsung S8 e cercò suo padre sul più celebre tra i social network. Trovò il profilo in pochissimi secondi, ma non fu un bene per lei: Gabriele era felicemente sposato con Sonia e avevano un figlio.
«Come è possibile?» chiese mia figlia, scettica e incredula. «Voi vi amate tanto», rivelò agitata. «E perché papà è così magro e muscoloso? Dovrebbe essere un ciccione burroso, lo è sempre stato, da quando vi conoscete».
Sollevai le spalle, non sapevo come risponderle. Poi mi resi conto di un fatto che avevo ignorato per anni. La prima volta che mi ero svegliata nella cuspide, più di vent’anni prima, ero fresca di rottura di fidanzamento da un mio coetaneo sovrappeso. [qui il capitolo dove Gabriele è grasso] «Era sempre lui», sussurrai dunque sottovoce. «Ci sono i nonni nella dimensione da cui vieni tu?» chiesi quindi a mia figlia.
«Tutti, tranne nonna Anna».
«Chi è tuo nonno materno?»
Luce mi fissò perplessa. «È nonno Marco», affermò sorpresa. «Qui chi è?»
Avrei dovuto rivelarle che in realtà Marco non era suo nonno, ma semplicemente il compagno di sua nonna, cioè mia madre. Avrei dovuto raccontarle dell’infermiere biondo, l’uomo che si era rifiutato di far parte della nostra vita. Ma a che pro? Tanto mia figlia lo avrebbe comunque scoperto da sola prima o poi, e amaramente. Volevo lasciarle un briciolo di serenità, anche se sapevo non sarebbe durata a lungo. E non mi interessava se, per via delle mie bugie e omissioni, in futuro non si sarebbe più fidata di me, perché avrei comunque anche tragicamente scoperto di non potersi fidare di sé stessa. Luce era destinata a galleggiare nella stessa identica e putrida merda interdimensionale in cui ero stata immersa io alla sua età.
«Anche qui tuo nonno è Marco, mio padre», le mentii infine. «Volevo solo verificare che non mi stessi imbrogliando».
«E perché mai dovrei imbrogliarti?»
Cambiai argomento. «Preparati. Andiamo a farci una scampagnata».
Sorrise. «Nell’altro universo odi le scampagnate. Detesti stare all’aperto in generale, perché le persone prima o poi si accorgono che hai una protesi sotto il ginocchio destro».
«In questo universo non ho acceso quella maledetta motosega», le ricordai. «Poter cambiare le cose è uno dei migliori vantaggi della nostra esistenza inter-dimensionale».
«Nell’altro universo ho l’iPhone», osò allora mia figlia.
Risi. «E credi che me la beva?» domandai sarcastica. «Ci hai provato, ragazza».

Pochi giorni dopo mi venne il ciclo. Al risveglio nel nuovo universo Luce era nuovamente scomparsa. Al suo posto c’era Michele, mio figlio dodicenne, ed ero nuovamente sposata con Gianni, aka Mr grandepancia-piccolocazzo. Fu sconvolgente, ma mai quanto leggere il referto della mia ultima visita ginecologica: nonostante i trentasei, ero entrata prematuramente in menopausa. Ciò significava che non ci sarebbero stati altri viaggi inter-dimensionali, e che non avrei mai più visto mia figlia.
«Mi dispiace», disse Marco, il mio ex patrigno, quando lo raggiunsi alla facoltà di Ingegneria di Cagliari, dove insegnava fisica.
«Dispiace anche a me», ammisi. «Ma forse è meglio così. Ho davanti a me tanti anni di normalità», affermai sconsolata.
Mi sorrise. «Credo dipenda dalla compensazione», ipotizzò. «Le tue ovaie sono state sottoposte a…»
«Taci, Einstein!» lo interruppi. «Se la teoria della compensazione fosse vera, tu saresti morto da tanto. E sicuramente Sonia, Ivan, Carolina e tanti altri non sarebbero ricomparsi l’uno dopo l’altro», gli dissi. «Non c’è nessuna compensazione. È solo caos! Dimentica tutte quelle robe meta-scientifiche sull’effetto farfalla, i paradossi, i paradigmi filosofici, o qualsiasi altra stronzata che gli scienziati si inventano per descrivere le cose non per come sono ma come vorrebbero che fossero. Credimi, è solo un gigantesco minestrone cosmico, nulla di più».
«Bizzarro», commento Marco. «Tua madre mi disse qualcosa di simile, molti anni fa», aggiunse malinconico. «Solo non capisco una cosa. Perché sei venuta da me se hai queste convinzioni?»
La risposta era semplice: volevo ficcargli il bisturi nello scroto. Non avendo più il ciclo sapevo che il mio gesto sarebbe quasi certamente stato definitivo, e finalmente potevo trovare conforto per essere stata stuprata. Non mi interessava se Marco in quella dimensione era adorabile e se mai e poi mai mi avrebbe messo le mani addosso. Mi sentivo comunque in diritto di vendicarmi di ciò che avevo subito. E non era certo colpa mia se le circostanze punivano il Marco sbagliato, perché il vero colpevole era il caos.

Lunedì il finale.

#frammento 50

Giurare di cambiare e tante altre simili promesse che non andrebbero mai avanzate:
poi è necessario mantenere, e la coerenza, è risaputo, non è di questi tempi. Proprio
come lui che tornò da Lei, quando Lei lo richiamò. Si diedero reciproche colpe, ma poi
ma poi, sì, poi, e ancora poi, quando dichiararono di volersi ancora, e si ricominciò
e tutto da capo, in un esplosione di lacrime e affetto. Parlare di quanto abbiano perso.
Quel senso di vuoto percepito per lunghi X giorni, riempendo il vuoto su whatsapp.
O forse no! Forse è solo un riverbero retorico che fa sopravvivere un tedioso romanticismo. Perché è troppo presto giurare affetto senza avere la cautela di osservare le cicatrici.
Che poi esiste un motivo se, per esempio, lunedì e giovedì hanno quei nomi diversi:
sono giorni differenti in fondo. Non si assomigliano, esclusi alba e tramonto in comune.
E le persone non fanno differenza. O meglio, poche persone fanno differenza. Raramente
quelle attenzioni che il lunedì colmano ogni vecchio vuoto sono già scemate il giovedì,
ma ogni singola parola che Lei pronuncia puzza della stessa identica merda già masticata. L’amarezza percepita tempo prima, l’incapacità di perdonare, di credere alle rassicurazioni. Anche quando giura di amarlo, che le frasi pronunciate talvolta sono solo frasi: è colpevole!
è Lui il vero colpevole, così feroce da cercare un pretesto per mollarla così, di botto, con un… punto.

AA112

Sono uscito a passeggiare. Stamane.
C’era una luna enorme, tipo film apocalittico, ma senza apocalisse.
Dall’altra parte l’alba.
Così ho fatto due calcoli, e ho capito che la luna fosse ad Ovest, probabilmente.
112, uno dei giorni che amo meno.
Si è dimesso Ratzinger 4 anni fa, ma non ricordo l’112 per motivi politico-religiosi.
Fregacazzi del papa.
Anzi mi interessa, ma solo perché mi sta sui coglioni.
Quello nuovo ovviamente, l’argentino. Lo so, Bergoglio è buono e bla bla bla, ma a me sta sul cazzo comunque.
Non ti affezioni a Hitler perché è vegetariano, no?
E quindi non ti affezioni al papa perché segue il calcio, giusto?
Probabilmente no, voi siete meno cinici di me.

Mi piacete cari follower.
Mi piacete perché voi non siete dei lettori, no, voi siete blogger. Mi piace chi sa scrivere.
Voi avete la vostra storia, più o meno pesante, e la raccontate, in modo più o meno romantico.
E questo mi piace.
Qui non ci si sfoga, qui si posta. È diverso.
È intrinseco che sia uno sfogo, non è necessario dichiararlo.
A proposito, mi sono perso.

Di cosa parlavamo? Ah, giusto, la mia passeggiata.

C’era quella cazzo di luna, stamattina intendo.
E l’alba dall’altra parte. A Ovest.
Perché il sole sorge a Ovest, giusto?
No diamine, a Ovest c’era la maledetta luna. A Est il sole che viene su come un cazzo alla vista di una tettona.

E pensavo agli affari miei, tipo mani in tasca e ragionamenti del genere “questa settimana è stata una cacca!!”
Ho ripensato a quel 112. Non l’auto, ma l’11/2.
Ho ripensato al sonno, al nervosismo, alle liti, a tutto quel gelo interiore percepito in quelle ore.
Ho concluso che nonostante tutto potesse andar peggio.
Tipo quella barzelletta dove un uomo precipita dentro un carrello di letame.
Ma ve la racconto un’altra volta, tanto non fa nemmeno ridere.

Scivola.

La notte scivola via. L osserva la città dalla finestra e fuma. Tra un tram e una coppia che si bacia, ascolta il respiro della figlia, che ha addormentato e che non appartiene al marito.
Ma importa? Probabilmente no. Essere una famiglia non significa essere perfetti. Una madre che fuma non é perfetta, no? E poi è più imperfetta una madre che non sorride.
Certo, agli occhi altrui potrebbe essere stata una troia. E forse, per proteggere la bambina, non le dispiace passare come tale.
Sì, è bello passare per cattivi se questo distoglie l’attenzione del resto.
In fondo lei non ha tradito nessuno, ha solo scopato con l’uomo sbagliato. Lo ha scopato da single, in momento in cui si sentiva una nullità perché abbandonata dalla persona che amava da anni. E non importa il come e il perché, tanto il mondo attorno chiacchiera a prescindere.
Sì, lei è quella che fa bene i pompini. È quella che lascia che il partner le schizzi in bocca. E non perché sia una puttana: perché le piace dare piacere.
In fondo il mondo è fatto così.
Esistono uomini che stanno mezz’ora tra le gambe della compagna a leccare ogni centimetro di fica possibile; e non perché sono dei pervertiti, ma perché talvolta è il modo migliore di esprimere amore, l’affetto proibito.

Proibito appunto, come a quanto pare è il sesso da single.
Come se non fosse concepibile essere feriti. Come se fosse necessario dover rispettare le decisioni altrui e contemporaneamente sacrificarsi su ogni altro fronte.
Ha una fede al dito ora. È sposata dall’uomo che l’ha fatta sentire una merda. L’uomo che è tornato, ma che quando ha scoperto la gravidanza l’ha pestata sperando di provocarle un aborto.
E si parla di errori. Sì, un errore. Capita talvolta, dicono. Dipende dalla confusione.
Ma lei non parla di errori, per carità. No, non lo farà mai. No.
Si volta con la sigaretta accesa, osserva la figlia e sorride.
Un figlio non è mai un errore e qualsiasi cosa accada resterà sempre un figlio. Quella bimba è creta ancora vergine da svezzare, e magari educare al rispetto. L osserva la fede al dito. Pensa all’idea generale di fedeltà, alla devozione che comunque l’uomo che amava, ha amato e ancora ama, non ha mai avuto per lei.
Se l’avesse amata davvero, non l’avrebbe mollata. E se l’avesse amata, non sarebbe tornato con presunzione.
Sicuramente, amandola, avrebbe accettato l’errore.
Invece resta un vuoto che secondo gli altri dovrebbe riempire con il senso di colpa, ma che lei riempie con i sorrisi di Creta.
Ecco, le valigie servono a sorridere. Sono state riempite per portare la creta altrove. Non si può insegnare il rispetto e l’affetto se la figura maschile di casa tratta quella femminile da puttana.
E forse è un errore andarsene senza lavoro, senza soldi, senza un’idea sul come cavarsela.

Ma se tutti gli errori hanno la risata candida di Creta, ben vengano gli errori.

Vittima 15

Il trucco per salvarsi, in genere, è scritto nel primo capitolo.
Hai mai letto il primo capitolo?
Capita a volte che, per circostanze complesse, il giorno di festa non sia esattamente felice.
Potrebbe anche capitare di ritrovarsi da soli, ma non sempre, a volta Qualcuno, con la “Q” maiuscola, c’è.
Tu c’eri, anche se lui quasi non se ne accorse: fu una giornata dolorosa, una di quelle che tempo dopo, apprezzando le altre, si ricorda come un brutto momento.
A volte funziona come nei film della domenica pomeriggio, con due adolescenti, anche se quasi adulti, che si incrociano, vestiti con camicia e prendisole sottile, di fianco all’unico albero che cresce di fianco a un lago. Ed è tutto così incantato, dal sorriso di lei, al riflesso del sole negli occhi di lui.
A volte però, non sempre.

Quella volta Lei indossava una felpa di Topolino, tanto anni 80, e lui un vecchio maglione che metteva solo a casa, e solo se nessuno lo vedeva; ma lei non era nessuno e anzi, era l’esatto opposto.
Sorrise, anche se non doveva, e provò a farci l’amore, anche se non doveva, e si incazzò, anche se non doveva; anche lui si incazzò, e poi pianse, e poi disse di non aver pianto e poi… e poi Lei fece una promessa intensa e solenne.
E poi non piansero più, smisero di bisticciare e ricominciarono ad amarsi in modo maldestro e inconsueto. C’era così una volta una favola che, per quanto imbarazzante, iniziava senza un “c’era una volta”. Non è il caso però di dare importanza alle liturgie: conta la sostanza in fondo, e questa dovrebbe essere l’unica morale consentita.

Oppure è come quella barzelletta, quella dove chiedi retoricamente quale sia il più accogliente e lussuoso ospizio di Mosca; per la cronaca, è il Cremlino. Così, storielle russe a parte, è di nuovo 7 Gennaio, tanto tempo dopo. Il maledetto albero nei pressi dello scontatissimo lago aspetta una coppia in camicia e prendisole e, probabilmente, almeno una volta a settimana, non è singolare che questo fatto si verifichi.
Gli elementi in discussione nella fatalità dell’esistenza sono come uno straccio intinto di veleno: è forviante, perché magari è messo lì per smacchiare qualcosa e non per ammazzare qualcuno.
Nel mondo reale in fondo, in quello in cui si passano le feste in casa a maledire sui social le feste passate in casa, ci si è trasformati in giudici plagiati dagli stati d’animo.

La promessa?
Giusto, ci fu una promessa.
Venne mantenuta?
In parte sì, anche se in modo intransitivo e penoso.
Ma forse è meglio, la pena è lo specchio di questo periodo.
Ma rilassati, non userò lo straccio intinto di veleno su di te: quello lo uso per smacchiare il sangue dalle mie lame.
C’è dunque chi taglia i rami agli alberi, e chi invece amputa le braccia a partner casuali. A volte ne ha un motivo, altre volte è solo il finale alternativo di una fiaba e, altre volte ancora, è così e basta.
E ora ci starebbe un “e vissero tutti felici e contenti” ma non sarà il tuo caso.
Certo, se avessi letto il primo capitolo, ora ti salveresti.
Peccato.

Anche ai coprofagi piace il bacon.

L’Olanda? In giornate come oggi ha un aspetto devastante. Ha quella faccia da ciccione appena sveglio, con gli occhi spiritati di chi mangerebbe anche merda se il cuoco la friggesse con il bacon. Che poi solo i ciccioni associano il lemma “bacon” alla pancetta; noi altri quando si parla di Bacon, pensiamo a Bacone, Francis Bacon, il filosofo inglese, quello che disse che la Verità è figlia del tempo. È vero in fondo, molte volte è sufficiente aspettare per constatare come davvero vadano le cose. In cucina il tempo è sovrano, sempre: se hai fretta, il cibo esce crudo; se sei lento, il cibo esce scotto o bruciato. Ma quegli stronzi la fuori mica lo sanno. Non pensano certo a Bacone quando si affollano sul vassoio dei croissant caldi, e sicuramente non apprezzano che siano cotti a puntino. E noi qui, pazienti e gentili, a farci insultare da questo ginepraio di pseudotossici invasati che scelgono l’Olanda per le prostitute e i cofè-shop. È tutto qui? Siamo solo puttane e droga? Per gli italiani sì. Vengono a trovarci solo per quello, perché sono troppo stupidi per accorgersi davvero di quanto sia meravigliosa questa terra. Ed è questo che li fotte, questo loro non rendersi mai conto del contesto in cui svolgono le loro attività preferite: litigare e protestare in modo chiassoso. Certo, non sono tutti così, ma le eccezioni sono talmente poche da diventare irrilevanti.

Lui è un’eccezione. Di chi parlo? Del tizio seduto al tavolo centrale, quello con i capelli rasati e con quella strana escoriazione al polso sinistro, escoriazione che nessuno probabilmente noterà. Lui è sempre silenzioso, fa la fila, non protesta ed è educato. Brav’uomo? Non saprei. Molti miei dipendenti sono suoi clienti e sinceramente credo che un pusher educato resti comunque un pericolo. Anche quell’altra è educata. Quella tizia lì, la bionda. Quella che sta entrando nella sala e sta raggiungendo il pusher al tavolo. La loro storia è interessante e ve la racconterei se la conoscessi o se avessi tempo o se avessi voglia. Ma mi chiamano in cucina, mi chiamano perché il latte è quasi pronto e non possiamo certo portarlo in sala senza prima sputarci dentro. Del resto agli italiani non piace che non si sputi nel cibo, perché non si sentirebbero a casa.

Dimenticavo: se vi interessa la storia del pusher e della bionda, la trovate qui. Gratis. Boh, approfittatene. A voi italiani piace la roba gratis no? Alla prossima.

  • Klepsydra è scritto a quattro mani con B. Polare

 
In alternativa Klepsydra lo trovate anche su Le Storie di B al seguente link:
LeStorieDiB