Il mio nome era Karen Jackson e dalle mie email James ha ristretto a tre la rosa di persone che avrebbero potuto augurarmi un prematuro rigor mortis. Il primo nome è quello di Bradley succhiacazzi Perkins, un frocio sovrappeso che stimola erotismo quanto una scatola di profilattici raffigurante un aborto insanguinato, ma con le medesime aspettative sociali del mai rimpianto Jeffrey Dahmer. Un mio ex scopamico dei tempi di Harvard, il cui hobby occasionale è immortalare con la propria reflex i rampolli bianchi e viziati dei petrolieri repubblicani in atteggiamenti poco appropriati a rampolli bianchi e viziati di petrolieri repubblicani, ha sorpreso il nostro Bradley in compagnia di un escort transessuale sadomaso di origini cubane. Succhiare i piedi a una donna con un cazzo grosso quanto un tubetto di Pringles non è esattamente l’immagine che convince un ricco nazi-papà filo-Trump a far sì che il proprio figlio lardoso possa avere accesso a un fondo fiduciario da centinaia di migliaia di dollari puzzolenti di greggio saudita. Considerato dunque che il mio amico non si è posto troppi problemi a farmi avere quelle immagini, ora secretate con stringa crittografica in uno dei miei hard disk chiusi nel caveau della testata giornalistica per la quale lavoravo, e aggiunto che Bradley Perkins aveva promesso inutilmente fino a sessantamila dollari per comprare il mio silenzio editoriale, si fa piuttosto in fretta a supporre che il ciccione rottinculo abbia avuto quanto meno un orgasmo sfinterico quando ha appreso della mia morte. Eppure non è lui il primissimo a cui James chiederebbe se sia o meno coinvolto nel mio falso incidente. (continua)
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