Il mio nome era Karen Jackson e ora voglio spiegarvi qualcosa della mia città. Un abitante di Boston su cinque è afroamericano. Dei quattro restanti, uno generalmente è un operaio irlandese che adora fare a botte; l’altro è uno sturacessi italiano con un irrisolto complesso edipico nei confronti delle polpette materne; il terzo è un latinamericano che di giorno pulisce le friggitrici in un fast food e che la sera insegna balli caraibici a bianchi sovrappeso e privi di talento; il quarto infine è un piccolo imprenditore asiatico che aveva il massimo dei voti a scuola, ma che alla fine ha aperto una catena di lavanderie a gettoni. Poi ci siamo noi, gli wasp, i bianchi protestanti di origini inglese. Siamo una piccola percentuale, ma a differenza di negri, mangiaspaghetti e tutti gli altri, non siamo venuti in Massachusetts per fare gli operai, i camerieri o vendere droga. Noi siamo venuti a Boston per comandare. Per questa ragione il mio fidanzato James non si è bevuto la storia raccontata dal mio capoufficio, il quale – usando il suo tono da cinquantenne desideroso di compensare le prime defaillances sessuali con una Shelby Cobra da cattivo dei Simpson – racconta che la mattina della mia morte mi avesse spedito a Jamaica Plain per ritirare alcuni biglietti da visita. Io però non ero Hillary Duff, né la mia vita era l’ennesima declinazione cinematografica di Cenerentola in chiave moderna (con annesse le orticanti scene di ballo collettive). Io avrei preferito farmi fare il pap test da un ginecologo con chele al posto delle mani piuttosto che occuparmi di una commissione da fattorino. James lo sa, e per questo ora spulcia una per una le mie email. (continua)