La Favola di Danilo Petrucci.

Nel 2012 Petrucci è entrato in punta di piedi nel motociclismo che conta. Lo ha fatto salendo in sella a una moto che nessun pilota semi-quasi-blasonato avrebbe mai accettato di guidare, su una Ioda praticamente costruita in casa. Nel motociclismo non esistono i miracoli, perché vincono i colossi, i team danarosi e i piloti con talento. E infatti non ci fu alcun miracolo: Petrucci era destinato a riempire la griglia e non essere mai considerato tra i papabili per il podio.

Per tre anni il ternano è stato l’ultima ruota del carro. Per tre anni ha guidato la Ioda motorizzata Suter o ART, provando pezzi e subendo l’onta di non essere mai tra i protagonisti. Confrontando i tempi, rispetto al buon Danilo i Lorenzo in Yamaha, Rossi in Ducati e poi in Yamaha, Stoner e poi Marquez in Honda, sembravano tutti extraterrestri. Del resto avevano tutti un buon curriculum.

Valentino era 9 volte campione del mondo; Lorenzo era fermo a 4; Stoner a 2 (ma entrambi in MotoGp); Marquez era quello che partiva ultimo in 125 e moto2, ma poi vinceva la gara. E il punto era che non erano i soli: Dovizioso aveva un mondiale in saccoccia; Crutchlow aveva fatto benissimo nelle derivate di serie, portandosi a casa dei titoli in Supersport; Bautista e Barbara avevano fatto faville contro Simoncelli anni addietro. Persino Baz e Laverty, che venivano dalla Superbike, avevano un curriculum migliore di quello di Petrucci.

Chi era Petrucci fino al 2014? Era un ragazzo nato a Terni, la Manchester italiana. Era uno che fino ai 15 anni aveva fatto trial e cross, e solo a sedici era passato alla velocità. Era uno passato soprattutto nelle Stock, tra campionati monomarca, campionati europei e qualche buon risultato nel CIV. Ma niente prototipi. Niente 125, moto3 o moto2. In Superbike c’era passato una sola volta, come wildcard. Agli occhi di tutti era il pilota scarso che aveva trovato una sella di una moto a sua volta scarsa, e che da tre anni faceva la comparsa nel motociclismo che conta.

Eppure c’era chi credeva in lui. Ducati in primis, che lo aveva messo a collaudare le moto di serie, ma che al momento di scegliere un pilota aveva preferito Ben Spies. Anche Michelin crede in lui e gli fa I team di Superbike, che sapevano che Danilo avrebbe potuto portare in gara sia l’esperienza passata nel Civ e nelle Stock, sia ciò che aveva imparato facendosi sverniciare ogni weekend da Rossi, Lorenzo, Stoner, Pedrosa e Marquez.

Poi accadde. Nel 2015 Pramac chiama Petrucci. Perché dare una moto buona a chi, nel 2014, in 18 gare ha fatto 17 punti? Cosa potrà mai combinare uno che ha sempre guidato una Ioda? A Silverstone arriva la risposta.

Quel giorno piove. Petrucci è dietro, ma lui sull’acqua vola. Vola così tanto che comincia a recuperare posizioni. Sorpassa Iannone, Bradley Smith, Scott Redding e persino Daniel Pedrosa. A un certo punto raggiunge Jorge Lorenzo. Non sa che fare. Non ha forse mai pensato di trovarsi a un passo da un maiorchino. Che fare? Lo supera o no? Ci mette qualche giro a decidersi, come se avesse paura di sorpassare. Ma poi lo fa. Danilo Petrucci è terzo. Il pilota che per tre anni ha guidato una moto scarsa, vedendosi passare e ripassare, è sul podio. Ma non gli basta… Raggiunge e supera Andrea Dovizioso. Si avvicina anche Valentino Rossi, ma non ne ha più e molla. Chiude secondo.

Sembra il classico episodio. Un poco come la vittoria di Ben Spies in Olanda o il quarto posto di Pirro a Valencia. Sembra solo un caso. Ma Petrucci non ha finito di mostrare il proprio valore. Nel 2017 va sul podio al Mugello e in Olanda se non ci fosse Rins, probabilmente batterebbe un certo Valentino Rossi. A Misano è in testa per tutta la gara, e quasi piange quando Marquez lo batte all’ultimo giro. Il ternano non festeggia… ha il muso. Solo i vincenti sono tristi dopo un secondo posto.

Tra un anno salirà sulla Ducati ufficiale. Il pilota partito dalle stock, che per tre anni ha guidato la famigerata Ioda, tra 12 mesi sarà un pilota ufficiale in classe regina. Seguo le gare dal 1990, e non ricordo niente di simile. Non ho memoria di un pilota in sella a una privata quasi fatta in casa che 7 anni dopo guidava una Yamaha, una Honda o una Cagiva ufficiale. Diciamo che è un poco la storia di Cenerentola. Ma con tanto coraggio e determinazione. E senza fata turchina.