Mia madre sbiancò. Non essendo assolutamente superstiziosa, ero però quasi sicura che non ci fosse pericolo per suo marito.
Le mie ipotesi trovarono conferma un’ora più tardi quando venimmo avvertite della morte di mia nonna. L’incidente fatale non era stato stradale, ma domestico: nonna e il marito erano morti folgorati nella vasca da bagno.
«È crepata come è vissuta: scopando!» affermai con pessimo gusto.
«Non è così che doveva andare», commentò però mia madre. «Nell’universo da cui vengo, a morire folgorato è mio marito», rivelò con un sollievo piuttosto innaturale per chi ha appena appreso la morte di un genitore.
«Nel mio universo era invece proprio nonna a morire», confidai.
Mia madre mi guardò perplessa. «Allora perché mi hai mentito?»
«Perché l’ultima volta che ho salvato la nonna è morta una…» mi interruppi a causa dell’arrivo del marito di mia madre.
Non era lo stronzo che mi aveva violentata nella cuspide. Era Andrea, il padre di Sonia e Carolina. Avrei dovuto indagar meglio a riguardo, ma c’era da organizzare un doppio funerale e far finta che ci dispiacesse.
Trascorsero due anni e mezzo, durante i quali alcune situazioni restarono identiche. Mia nonna non resuscitò; nessuna traccia dell’uomo che era stato mio marito; preferivo la fica al cazzo; Andrea e mamma erano una coppia, anche se non sempre sposata.
Quello tra la mia vecchia e il compagno era un rapporto solido, ma privo di amore. O meglio, non percepivo in loro quei sentimenti che per un mese avevo provato per il biondo palestrato.
«A chi scrivi?» mi chiese Andrea una notte, sorprendendomi al computer, connessa a mirc.
«A un vecchio compagno di classe», mentii. Stavo invece chattando con Giovanni, che altri non era che l’ennesima versione di Luca/Marco/Matteo.
Non sentivo l’impulso di essere sincera con mia madre e il suo attuale compagno, e mentire non mi generava sensi di colpa. Anzi, mi sembrava invece di proteggerli, perché meno cose raccontavo e a meno pericoli li esponevo; almeno secondo il mio punto di vista.
«In pratica scrivi a uno che vorresti ti scopasse?» domandò prontamente mia madre.
Non replicai e chiusi la chat, anche perché ormai avevo raggiunto il mio scopo: Giovanni mi aveva proposto di vederci nel suo studio. In quell’universo era laureato in fisica, ma si occupava di tutt’altro. Era un fotografo professionista, piuttosto stimato tra l’altro.
Lo incontrai due giorni dopo, subito dopo pranzo, se con “pranzo” si intende “farmi sottomettere da una quarantenne che mi aveva fatto trascorrere la mattinata a leccarle i piedi e il tacco delle décolleté”.
«Dio mi odia e ascolta le vibrazioni», affermai sarcastica entrando nello studio fotografico di Giovanni sulle note di Vieni da Me. Ma se ero sopravvissuta a Marco Masini, potevo cavarmela egregiamente anche con Sarcina.
In quell’universo il mio “patrigno” era sovrappeso e quasi completamente calvo. Sembrava il personaggio di un porno, cioè il marito ciccione con cui è sposata la bonazza di turno che ha bisogno di essere infilzata come un totano da un cazzone oversize.
A prescindere dai miei voli pindarici bolder, lo studio di Giovanni era l’ultimo posto dove avrei portato un bambino indisciplinato: c’erano oggetti luminosi e colorati in ogni angolo, e sembravano tutti tanto fragili quanto costosi.
«A cosa serve questo», chiesi curiosa avvicinando pericolosamente l’indice a un oggetto che ruotando emetteva una luce colorata.
«Se lo tocchi, ad ammazzarti», spiegò lui. «Quella è alta tensione».
«Di cosa volevi parlarmi?» domandai allontanando il dito da quell’affare coloroso che comunque non poteva uccidermi, visto che non avevo ancora messo al mondo una marmocchia.
«A breve rientrerai nella cuspide», mi disse.
«Bene», risposi. «Consigli?»
Sorrise. «Sì, ignora tutto ciò che capiterà là dentro».
Nulla che non mi avesse già detto mia madre. «Che differenza c’è tra la cuspide e gli altri universi?» domandai allora, sperando di scoprire qualcosa di nuovo.
«La cuspide è come la sponda da biliardo e tu sei la palla», sintetizzò con chiarezza Giovanni. «Non puoi andare oltre, perché quando ci sbatti sopra torni indietro».
Gli chiesi allora come facesse a prevedere il mio ingresso nella cuspide. Mi rispose usando nozioni complesse di matematica, fisica e filosofia, campi di studio che in quell’universo mi attiravano quanto gli involtini di cervo e cinghiale stuzzicano l’appetito di un vegetariano.
Ringraziai Giovanni, se con “ringraziare” si intende “spingerlo contro quell’affare colorato che lui mi aveva invitato a non toccare, e che lo uccise in modo atroce e doloroso”.
Le feci franca, ma dieci dopo entrai nella cuspide, dove ero una carcerata.
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