Memori di memorie.

Il prologo era suonato da chitarre scordate. Pittori in disaccordo partivano da vertici opposti del medesimo muro, scontrandosi così al centro del murales. Nel frattempo una mongolfiera planava sulla città, riflettendo i raggi solari violacei di un apocalisse nucleare. Dio quei giorni era partito in crociera, e topi grossi come Mammut banchettavano con quel che restava del genere umano. Nascosto in una condotta idrica abbandonata, leggevo vecchi fumetti e fumavo le mie Winston. Mangiavo muffa, bevevo piscio e bevevo il mio stesso piscio. Per tenermi lucido canticchiavo “Oh! Take me back to dear old Blighty, put me on the train for London Town: take me anywhere, drop me anywhere, Liverpool, Leeds or Birmingham, but I don’t care“. Come mezzo di trasporto avevo una vecchia Honda VTR. Non certo il meglio delle Superbike, essendo sempre stato un ducatista con sporadiche escursioni in Bimota. Ma quella avevo, e quella dovevo farmi andar bene.
Jackie venne a cercarmi poco prima del tramonto. Era una bella ragazza, abbastanza simile alla Druuna di Serpieri (se avete presente il genere). Contrariamente alle mie speranze, non sembrava disposta a spogliarsi di fronte a me. Mi chiese da bere, mangiare e fumare, ma non ebbe nulla. Le mie provviste scarseggiavano, e la bottiglia di bourbon che conservavo nello zaino la riservavo per occasioni notevoli. Sembrerà stupido non godersi la vita a poche ore da un’imminente apocalisse definitiva, ma la mia era una sorta di taccagneria ottimistica: speravo ancora che le cose cambiassero, anche se le probabilità che tale cambiamento accadesse oramai sconfinavano nel metafisico.
«Cosa ti porta qui?» chiesi infine.
«La mia radio è rotta», spiegò Jackie, porgendomi quindi una scatola viola grande poco meno di una stecca di Marlboro.
Era un vecchio congegno olandese, di quelli che compravi al supermercato, pagandolo quanto una decina di confezioni di Pringles. Credo andasse anche a batterie, ma non mi serviva smontarla per intuire che avesse la scheda fottuta. Era colpa delle temperature, ormai prossime ai 40 gradi anche la notte.
C’era una stazione non lontana, dove un vecchio apparecchio a valvole resisteva ai bombardamenti. Avrei dovuto indicarlo come destinazione, ma non lo feci. Sarebbe sarebbe stato inutile. Sorrisi a Samantha. Le chiesi se avesse un compagno e se fosse ancora vivo. Lei annuì. Mi parlò di Nicholas, il suo ragazzo del Kentucky. Mi raccontò che, contrariamente al sottoscritto, lui amasse soprattutto le Honda. Allora le regalai la mia rivista a fumetti. Speravo che lei e Nicky la leggessero assieme prima di morire. Oppure che la ignorassero perché impegnati a scopare.
Ripensai a mia moglie poi, morta da pochi giorni. Sorrisi, promettendo a me stesso di brindare all’eternità della sua anima quando sarei stato in punto di morte.
L’amore è eterno, più del ricordo.


Perdonatemi amici follower.
Nicholas Patrick Hayden era mio coetaneo, e oggi sentivo il bisogno di parlare finalmente di lui. Chi segue da tanto, sa quanto io amo e seguo le corse motociclistiche, non fossilizzandomi esclusivamente sulla MotoGp. Non sono mai riuscito a scrivere su di lui, perché sentivo una sorta di sciacallo. Posso assicurarvi però che in 36 anni di vita solo due volte mi sono commosso per la scomparsa di una celebrità: Scott Weiland e N. Hayden.
Mi piace pensare che oggi, al posto di Nakagami, non sarebbe caduto e avrebbe portato la Honda al trionfo nella 8 ore di Suzuka. Sarebbe stato un modo meraviglioso per festeggiare il suo 36mo compleanno.105edf695e1bc040cae22fd5980dd072-amazing-race-awesome

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