La rompipalle – Parte 4

Un mattino come un altro, a Boston esplose la bomba primaverile: le piante si colorano di fiori come la ghirlanda di una fattona; gli scoiattoli occuparono i prati di Common Park; le fantasie dei feticisti vennero alimentate dall’esercito femminile improvvisamente armato di sandali e pedicure.
Klaudia soffrì parecchio il cambio di clima. Era abituata alle temperatura di Seinäjoki, spesso polari. Boston era invece costantemente calda, anche quando i bostoniani affermavano ci fosse freddo.
La finnica continuava a vivere la sua esistenza fatta di dischi heavy metal, felpe scure e risposte elusive a qualsiasi domanda personale. Grazie a Kori era più “amichevole” e comunque più presente nelle attività extralavorative tra colleghi, per quanto conservava il suo carattere riservato e taciturno. Grazie a Max, si era appassionata a dolci e vivande zuccherate statunitensi. In particolare, era fissata con una strana bevanda, una sorta di caffè aromatizzato al gusto fragola. Quell’intruglio chimico traboccante di conservanti, aromi artificiali, e migliaia di sostanze che alla lunga avrebbero provocato il cancro anche a un blocco di ghisa, era divenuto un articolo irrinunciabile tra le mani della bionda. Connor, alcolizzato e cocainomane, ma attento a seguire diete macrobiotiche, cominciò a preoccuparsi.
«Ehi, pantegana bionda», le disse un giorno, «come fai a bere quella merda?»
Klaudia sollevo le spalle e osservò perplessa l’interno del bicchiere. «È ipercalorica?» chiese candidamente. «Comunque sono magra».
L’irlandese scosse il capo preoccupato. «Non sono le calorie», le spiegò. «È che sembra piscio aromatizzato».
Klaudia praticamente ignorò quell’ultima osservazione.
«Bere quella merda è come respirare dal tubo di scappamento di un camion», aggiunse ancora Connor.
Ma per tutta risposta, la biologa scandinava diede una lunga sorsata dall’intruglio al sapore di fragola, gustandoselo come se il rischio di cirrosi o il diabete non la riguardasse. E per l’irlandese fu quella la metaforica goccia che fece traboccare il metaforico vaso. O per usare metafore ancor più colorite, fu quella la metaforica spinta che gli fece metaforicamente girare i metaforicissimi coglioni. Così, con il piglio di un fratello maggiore che sorprende la graziosa sorellina a farsi leccare la passera dallo sfigato della classe, l’irlandese si avvicinò alla bionda e le strappò il bicchierone dalle mani.
«Sei morto!» affermò subito Klaudia irritata, prima di bestemmiare in finlandese.
Il collega le sorrise. «Dopo ti porto a mangiare un gelato», le promise dolcemente, sorridendole, «ma piantala di avvelenarti con certe porcherie. Non ho voglia di scavare una buca in Post Office Square per nascondere il tuo inutile cadavere».
La finnica ebbe l’immediato istinto di balzare sull’irlandese, strappargli il naso a morsi e ficcargli un tagliacarte nello scroto. Ma lesse l’apprensione e l’affetto nello sguardo di Connor. Arrossì: non era abituata a uomini preoccupati per lei, non almeno a quel modo. Lo standard maschile di Klaudia erano individui come Max, persone cioè che progettavano di metterle le mani sui seni, il pene tra le labbra e magari la lingua nella vagina.
Il collega irlandese invece le ricordava il compagno di scuola materna che ammazzava gli scarafaggi quando questi la spaventavano; o un amico gay con cui usciva all’università. Che poi, a pensarci bene, l’amichetto della scuola materna era lo stesso amico gay dell’università.
Kori osservò la scena e sorrise. Aveva una cotta per Connor, e vederlo così paterno con Klaudia la entusiasmava. Era piacevole osservare come due persone a cui era affezionata potessero interagire in modo tanto candido e spontaneo.
Meno felice della nascente complicità tra Klaudia e Connor fu invece Max. L’italo-americano non aveva grande simpatia per il giovane irlandese, e vederlo legare con la finnica lo infastidiva. Soprattutto temeva che Connor arrivasse dove lui, evidentemente, non sarebbe mai arrivato. Il terreno era dunque piuttosto fertile per far germogliare astio e odio conditi da tonnellate di testosterone.

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