BDSM – Brodo Dado Sedano Minestra – Sottomissione domestica – 1

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Tutti gli schiavi avevano ricevuto l’ordine di raggiungere la sala principale per l’iniziazione di Anna; vestiti di tutine di pelle, stivali e maschere di lattice, si erano inginocchiati l’uno dopo l’altro ai piedi del cerimoniere, per baciargli devotamente la punta del grosso pene eretto.
Quella notte, dovevano esserci più atti di devozione che parole, più interazioni tattili che visive, e un enorme desiderio reciproco di ripetere nuovamente quell’orgiastica esperienza in futuro. Le frustrate risuonarono severe, costanti e abbondanti, mentre mugolii e sospiri vennero soffocati dalle ball gag. Proprio come era stato un mese e mezzo prima, all’iniziazione di Martino, Anna venne consegnata al cerimoniere dalla propria Mistress. La candidata era una diciannovenne bionda, alta poco meno di un metro e sessanta; le sue forme erano asciutte, quasi androgine; i capelli ricci, ma tagliati molto corti; il taglio degli occhi e le labbra carnose erano, assieme alle mani e i piedi minuscoli, gli unici indici definiti di femminilità. Era stata truccata con eyeliner e rossetto azzurro, vestita di una tutina scura a cui il cerimoniere aveva appena squarciato un grosso lembo, largo poco meno di un disco 45 giri, appena sotto la spalla sinistra.
«È una ragazza piuttosto giovane e ingenua per un passaggio del genere», commentò sottovoce Massimo, uno dei master più esperti, «tra qualche anno potrebbe pentirsi di ciò che stanno per farle».
«È questo che mi eccita», rivelò Cristina, sua moglie, anche lei dominatrice. «In cuor mio auspico anzi che ci ripensi tra un’ora».
A queste considerazioni ne seguirono di analoghe, alcune espresse esplicitamente, altre circoscritte a silenziose riflessioni personali.
Al centro della sala era stato posizionato un inginocchiatoio in castagno intagliato. I presenti osservarono il cerimoniere trascinare la schiava per un breve tratto, quindi afferrarla per i capelli e ordinarle di disporsi sull’inginocchiatoio. La candidata eseguì; e quando le venne ordinato di mettere i polsi dietro la schiena, obbedì.
Era venuto il momento di iniziarla al proprio ruolo, a lasciarle sul corpo un segno definitivo del proprio ruolo, un segnale che andasse ben oltre le semplici parole e banali liturgie da 50 sfumature di grigio: era giunto il momento di insegnarle fisicamente l’entità profonda della brutalità della dominazione e la passiva accettazione della stessa.
«Inginocchiata blasfema», cominciò il cerimoniere in attesa che gli passassero il ferro rovente, «rinunci innanzitutto all’inutile dio cattolico affibbiatoti alla nascita, abbracciando invece solennemente la divinazione di un’entità terrena», proseguì improvvisando enfaticamente. «Con un marchio sulla pelle sarai schiava fino alla morte. E non di chi ti riterrà degna, perché degna non lo sarai mai; ma di chi sarà abbastanza magnanimo e paziente da dare un senso alla tua inutile e patetica vita da sottomessa», concluse ricevendo il timbro a caldo, raffigurante una doppia “S” circoscritta in un serpente ad arco di cerchio.
In occasioni come quella, soltanto pochi dominatori riuscivano a completare la cerimonia. Al momento di poggiare la lastra rovente sulla carne, le mani tremavano, così come le ginocchia, perché marchiare a fuoco una persona è un’azione che richiede determinazione, ma anche sangue freddo. Il cerimoniere non temeva certo le urla di dolore, né la puzza della carne bruciata, né la consapevolezza che Anna, una volta marchiata, avrebbe probabilmente perso i sensi o il controllo della vescica.
E infatti, dopo che la diciannovenne venne marchiata, sottomessi, dominatrici e dominatori applaudirono. Ma non tutti avevano guardato. Non tutti erano riusciti a sostenere la vista della bionda che si contorceva soffocando gli spasmi di dolore. Non tutti avevano soffocato la debolezza umana di provare un’irragionevole pietà verso un dolore consapevole, cercato e assolutamente accettato.
Cristina invece, più fradicia di una diga in inverno, offrì la propria bocca a Massimo, in un bacio appassionato tra Master e Mistress, con i reciproci sottomessi in ginocchio ai loro piedi, tenuti al guinzaglio; e non appena fu sazia di quella danza di lingue in salsa di saliva, confidò la propria eccitazione: «non vedo l’ora che marchino i nostri schiavi», affermò entusiasta, «non vedo l’ora che mi venga chiesto se voglio o meno un cerimoniere», proseguì sadica.
«Vuoi farlo tu?» chiese il marito.
«No», rispose laconica Cristina.
Massimo rabbrividì.

Immagine presa dal web a questo indirizzo.

JD scrubs ultime parole. Marshall How I Met Your Mother Padre Ultime Parole.

42 pensieri riguardo “BDSM – Brodo Dado Sedano Minestra – Sottomissione domestica – 1

    1. Nella versione originale pensavo addirittura a una menomazione (riprendendo la cultura giapponese) poi ho preferito non eccedere, anche perché voglio arrivare a un punto preciso…
      Sinceramente non saprei come comportarmi a riguardo. Non sarei pronto a marchiare o farmi marchiare. Ma la domanda è: un vero dominatore deve abbracciare tanta crudeltà? E un vero sottomesso deve accettarla?
      Secondo me sì, ed eccitante, come capita a Cristina, ripensarci…
      Anche se la nostra parte emotiva si rifiuta.

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                1. Non è un paradigma. Ho preso spunto da un vecchio racconto a fumetti letto sul Lancio Story, presumo scritto da un qualche sudamericano, in cui l’amore tra due persone veniva celebrato fino alla fatidica domanda: “moriresti per me”. E come già scritto, mi sono anche ispirato alla pratica giapponese di amputarsi una falange in segno di devozione. Nulla che io condivida, ma comunque paradigmi esistenti e che, al di fuori di no, probabilmente eccitano.
                  (p.s. io non mi farei nemmeno un piercing per una mistress)

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    1. Cerco sempre di essere realista, e raccontare la mia esperienza, anche se con parafrasi.
      Su voi schiave ho imparato che per non perdervi bisogna spingersi molto oltre limite, cercando però di non varcarlo. Per questo ho posto il problema del marchio! 🙂

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            1. Molti improvvisano.

              Immagino che il mio post ti abbia attratto perché non è scontato. Non nel senso che sei d’accordo con ciò che scrivo, ma perché è una visione diversa.
              Discorso analogo per i master, bisogna ricordarsi che la schiava è tale finché ha gli stimoli giusti. E molti se ne dimenticano (o proprio lo ignorano).

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  1. Dopo essermi liberata dagli aguzzini ho sviluppato un complesso di superiorà mentale nei confronti degli uomini. La sottomissione per me sarebbe inapplicabile, credo che mi farei ammazzare. Ma non riuscirei neppure a sottomettere altre creature, non è nel mio gene.

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        1. Rispondendo a tutti e tre i tuoi post 🙂 ->

          In genere racconto situazioni molto estreme, raramente autobiografiche. Mi piace l’iperbole perché genera una sorta di “astio” nei confronti di ciò che scrivo. La dominazione è un gigantesco paradosso emotivo secondo me, per questo mi affascina parlarne.

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