La schiava Sarda – pt. 1

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I fatti che vogliamo raccontarvi iniziano in Sardegna, e più precisamente nel Marghine, subregione centro-occidentale dell’isola. Protagonista è Francesca, una ventunenne che colleziona scacchiere ma che non sa giocare a scacchi. Siamo nell’autunno del 1995, quando le stazioni radiofoniche passano Shy Boy di Diane King e tante altre hit di cui, dopo 22 anni, vi siete probabilmente dimenticati.
«Hotel 2020, buongiorno».
Hotel 2020! Lo chiamano così, ma non è propriamente un Hotel. Non immaginate una struttura come l’Hilton, contraddistinto da una futuristica architettura in vetro e acciaio, da ambienti lussuosi e luminosi, o da receptionist poliglotte e con fisico da modelle. Immaginate una sorta di casa a due piani, con finestre piccole caratterizzate da telaio all’inglese e rivestimento esterno in pietrame. Quindi appiccicateci sopra un’insegna luminosa, una parabola per Tele +, e costruiteci un bar/ristorante di fianco. E avrete un’idea verosimile dell’Hotel 2020.
«Dare me la stanza», ordina bruscamente un omone biondo, sulla cinquantina, la cui pronuncia è marcatamente Hochdeutsch.
«Buongiorno anche a lei», ironizza sardonica Francesca. «Singola o matrimoniale?»
L’omone, che si chiama Jürgen, scuote il capo. «La stanza», ribadisce, rimarcando l’articolo determinativo.
L’Hotel 2020 affitta 4 stanze, una al piano terra e tre al primo. Ne esiste tuttavia una quinta. È la C20, destinata a una clientela non esattamente abituale.
«Ah», esclama perplessa Francesca. «La stanza», ripete tra se e se. La ventunenne si accovaccia sotto il banco e apre un cassetto che normalmente resta chiuso. «Per quanto si trattiene?», si informa poi, porgendo a Jürgen la chiave della C20.
«Due ore», chiarisce l’uomo, firmando il registro.
«Mi segua».
Francesca fa strada, Jürgen segue. Il corridoio è stretto e privo di illuminazione naturale. Le pareti sono pitturate di un giallo chiaro, illuminate da piccole plafoniere a conchiglia, e riempite da stampe di panorami incorniciate di nero. L’ambiente è sobrio, ma silenzioso e rilassante.
«Questa è la stanza», afferma Francesca, fermandosi a un metro dalla porta. La ventunenne assuma una posizione marziale, con le caviglie unite, la schiena rigida e le mani incrociate dietro la schiena. «La sua Schiava arriverà tra venti minuti», lo informa tiepidamente. «Le consiglio di farsi prima una doccia, e prendere alcune delle pillole fucsia che troverà nella specchiera in bagno. Buon soggiorno».
L’uomo annuisce e porge all’italiana una banconota da cinquantamila lire: «Danke
Francesca sorride gentilmente e leggermente imbarazzata, ma rifiuta la mancia, mantenendo le mani dietro la schiena. «Come ricevuto», ringrazia algida, prima di allontanarsi.
Jürgen entra all’interno della stanza. È un ambiente stretto, tre metri per quattro. Non è una camera particolarmente luminosa, visto che l’unica finestra presente è piccola, stretta ed esposta verso Nord. L’arredamento, se tale si può definire, è fin troppo frugale. Niente Tv o radio; nessun armadio; nemmeno un tavolino con una sedia, qualora ci si volesse sedere per spogliarsi. C’è dunque solo il letto, e una pallida lampadina al tungsteno impiccata al soffitto.
«Si sono proprio sprecati», bofonchia in tedesco.
Il bagno interno ricalca l’essenzialità della stanza: doccia minuscola priva di box, un water, un lavandino e, come premesso da Francesca, la cosiddetta specchiera.
Jürgen apre la specchiera. All’interno uno spazzolino da denti ancora sigillato; una saponetta; una confezione di profilattici; una scatola di aspirine; un accendino; un flacone di pillole fucsia. L’uomo sta poggiando sulla lingua proprio una delle pillole, quando un rumore meccanico risuona dall’interno della stanza: la schiava è entrata e ha chiuso la porta a chiave.
«Arrivo!» annuncia Jürgen, guardandosi nervosamente attorno. Come diavolo si fa a ingoiare una stramaledetta pillola se in tutto il bagno non si trova nemmeno l’ombra un bicchiere?
«Sì, Signore», risponde la schiava, distendendo un tappeto ai piedi del letto e inginocchiandosi.

– Continua –

19 pensieri riguardo “La schiava Sarda – pt. 1

    1. Il primo giorno di scuola, quando andavo al liceo, la radio trasmetteva Shy Guy. Se mi chiedono di ricordare il mio primo giorno di liceo, nomino subito quella canzone. Se ci pensi richiama a pieno quel periodo: il raggae, la dance, l’omossessualità (Diane King è gay), una sorta di costante ricerca di una nuova rivoluzione sessuale. Ed era maledettamente ballabile.

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