Stagione 2017 – Lunedinsella

Con i test invernali di Jerez/Portumao della Superbike, mercoledì è cominciato il mondiale 2017.
Nelle derivate di serie perdiamo Brooks, Giugliano e Guintoli, che volano in Inghilterra, ma assistiamo al ritorno di Laverty e Melandri (32 vittorie in due) e all’arrivo di Bradl (iridato 2011 in moto2 contro Marquez).
Il quadro mostrato tra Spagna e Portogallo è dipinto con gli stessi colori che hanno caratterizzato le ultime due stagioni: Rosso e Verde. Ducati e Kawasaki sembrano avere qualcosa in più, sia le factory, sia i kit clienti. Rea sembra l’ammazza-categoria ammirato a inizio 2015 e 2016, Sykes resta clamoroso nel giro secco, Davies ha dominato sabato in Portogallo e Melandri si è adatto in fretta alla Panigale.
Non è più una sorpresa Savadori, passato al team Milwakee. L’italiano è riuscito a portare l’Aprilia RSV al secondo posto globale della due giorni spagnola, disturbando così l’egemonia della bicilindrica Ducati e della Ninja. Fa altrettanto Laverty a Portimao, piazzandosi secondo dietro a Davies. L’Aprilia non è la moto migliore, ma è vicina alle prime due.
Deludono ancora Honda e Yamaha. La dea alata ha portato in pista una moto nuova, più leggera e potente, ma il distacco dalle prime è quasi prossimo al secondo. La quattro cilindri dei tre diapason fa anche peggio, confortata da qualche blitz del solito Lowes.
Buono nel complesso il livello 2017 della categoria, con nomi come De Angelis, Russo, Fores sulle private. Deludono notevolmente le Bmw, spesso lontane e apparentemente complesse da gestire.

In MotoGp si è cominciato invece stamattina. Si prospetta una stagione di transizione, visto che su 12 ufficiali, solo Rossi, Pedrosa, Marquez e Dovizioso ricominceranno dalla moto 2016.
Il più atteso è ovviamente Lorenzo, che dopo aver lottato a lungo per il mondiale dovrà ricominciare da un team che aspira a vincere 3-4 gare all’anno -con buona pace per l’ottimismo delle dichiarazione pre-season.
Attenti a Rins, è un cascatore ma è veloce, e arriva quasi senza palmares su una moto ufficiale che non è lontana dalle prime e che non nutre l’ansia di vincere per forza il titolo. Stoner cominciò così nel 2007.
Sono curioso invece di vedere quanto cresceranno le Ducati, quanto Vinales saprà mostrarsi cattivo in gara nel corpo a corpo e quanto Iannone riuscirà a fare con una moto più morbida.
Dopo 6 anni, ho finalmente anche un pilota preferito da tifare, visto che quest’anno sulla Tech-3 vedremo il francese Zarco. Non è candidato né al titolo, né alla vittoria di GP, ma spero di vederlo qualche volta sul podio. Mezzo e circostanze permettendo.

Scivola.

La notte scivola via. L osserva la città dalla finestra e fuma. Tra un tram e una coppia che si bacia, ascolta il respiro della figlia, che ha addormentato e che non appartiene al marito.
Ma importa? Probabilmente no. Essere una famiglia non significa essere perfetti. Una madre che fuma non é perfetta, no? E poi è più imperfetta una madre che non sorride.
Certo, agli occhi altrui potrebbe essere stata una troia. E forse, per proteggere la bambina, non le dispiace passare come tale.
Sì, è bello passare per cattivi se questo distoglie l’attenzione del resto.
In fondo lei non ha tradito nessuno, ha solo scopato con l’uomo sbagliato. Lo ha scopato da single, in momento in cui si sentiva una nullità perché abbandonata dalla persona che amava da anni. E non importa il come e il perché, tanto il mondo attorno chiacchiera a prescindere.
Sì, lei è quella che fa bene i pompini. È quella che lascia che il partner le schizzi in bocca. E non perché sia una puttana: perché le piace dare piacere.
In fondo il mondo è fatto così.
Esistono uomini che stanno mezz’ora tra le gambe della compagna a leccare ogni centimetro di fica possibile; e non perché sono dei pervertiti, ma perché talvolta è il modo migliore di esprimere amore, l’affetto proibito.

Proibito appunto, come a quanto pare è il sesso da single.
Come se non fosse concepibile essere feriti. Come se fosse necessario dover rispettare le decisioni altrui e contemporaneamente sacrificarsi su ogni altro fronte.
Ha una fede al dito ora. È sposata dall’uomo che l’ha fatta sentire una merda. L’uomo che è tornato, ma che quando ha scoperto la gravidanza l’ha pestata sperando di provocarle un aborto.
E si parla di errori. Sì, un errore. Capita talvolta, dicono. Dipende dalla confusione.
Ma lei non parla di errori, per carità. No, non lo farà mai. No.
Si volta con la sigaretta accesa, osserva la figlia e sorride.
Un figlio non è mai un errore e qualsiasi cosa accada resterà sempre un figlio. Quella bimba è creta ancora vergine da svezzare, e magari educare al rispetto. L osserva la fede al dito. Pensa all’idea generale di fedeltà, alla devozione che comunque l’uomo che amava, ha amato e ancora ama, non ha mai avuto per lei.
Se l’avesse amata davvero, non l’avrebbe mollata. E se l’avesse amata, non sarebbe tornato con presunzione.
Sicuramente, amandola, avrebbe accettato l’errore.
Invece resta un vuoto che secondo gli altri dovrebbe riempire con il senso di colpa, ma che lei riempie con i sorrisi di Creta.
Ecco, le valigie servono a sorridere. Sono state riempite per portare la creta altrove. Non si può insegnare il rispetto e l’affetto se la figura maschile di casa tratta quella femminile da puttana.
E forse è un errore andarsene senza lavoro, senza soldi, senza un’idea sul come cavarsela.

Ma se tutti gli errori hanno la risata candida di Creta, ben vengano gli errori.

Vittima 13

La frase più bella che ho sentito in un film è tratta da Will Hunting, e magari più tardi te ne parlo.

Se sei d’accordo, vorrei farti provare la garrotta; ma anche se non lo sei, la proveremo ugualmente.
Mi divertono le torture medioevali: profumano di vecchi GDR, quelli che facevi con i dadi, seduto a un tavolo.
Bei tempi, quando noialtri nerd ci masturbavamo a vicenda, promettendo di mantenere il segreto.
Ahimè, l’omosessualità latente è scomparsa, il sesso da “ultimissima spiaggia” non esiste più.
Come è stata la tua prima volta?
La mia è stata splendida.
Ero al liceo e lei adorava i R.e.m.; eravamo in gita scolastica, sul traghetto. Mise su Strange Currencies e ricordo che, prima che le infilassi violentemente tre dita nella fessa, canticchiava “this words, you will be mine“.
Che bello, è stato il mio primo stupro, anche se fu lei a stuprare me; ma questa è un’altra storia.
La prima volta è particolare, perché mette assieme l’aspettativa irrealizzata, la frustrazione e la vergogna.
La prima volta è un poco come il primo giorno alla Scuola-calcio, con la differenza, tutt’altro che trascurabile, che le partner non ti lascino allenare a centrare il bersaglio: o lo sai fare, o sei fuori.

La mia prima vittima urlava come un’ossessa. Colpa mia: la motosega era stata un’opzione eccessivamente grossolana.
Per quelli come me, la morte della vittima è un evento particolarmente tragico; il decesso sancisce la fine del gioco e, come è prevedibile, dell’eccitazione.
Per questo ho imparato ad ammazzare molto lentamente: non voglio osservare fiumi di sangue, ma immensi laghi che si generano lemme lemme, goccia dopo goccia.
Per me ripulire è un supplizio, perché cancello i segni della sofferenza, del dolore definitivo nell’esistenza di un individuo. E dato che pulisco lentamente, voglio sporcare lentamente.
A volte piango. Vorrei conservare ogni singola goccia ematica, ogni frammento di merda o piscio che impregna questi pavimenti di un patimento che non può essere percepito da nessun altra parte.

Parlami di te.

Come occupavi il tuo inutile tempo prima di cadere in trappola? Quali erano gli inutili sogni che covavi? Come immaginavi il tuo improbabile futuro? Hai mai pensato alla tua morte? Hai mai in qualche modo ipotizzato di poter entrare nella stretta cerchia di rosse che, una dopo l’altra, ho trasformato in carne macinata?
Mi piaci.
Adoro le rosse con le efelidi, sembrate ancora più rosse.
Le pornostar rosse non sono tante, non quelle con le efelidi almeno. Ma alcune sono notevoli.
E ok, per me le pornostar sono inutili, non mi masturbo mica guardando un porno.
Io penso alle mie 12 vittime, e non sai come sborro al ricordo della loro disperazione.
Se chiudo gli occhi, riesco a sentirle ancora urlare.
Uso la garrotta e non vado su youporn; diamine, sono una versione moderna di un sacerdote cattolico.
Ma mai citerei la bibbia, mai sarei tanto blasfemo in un contesto simile. Per quanto l’idea di uccidere a colpi di crocifisso mi si sia palesata tante volte.
In ogni caso, le ultime parole non sono mai le migliori, almeno per chi muore.
Alla fine citiamo sempre il cinema, chi più chi meno, e, come già detto, la frase più bella che ho sentito in un film, è tratta da Will Hunting.
Che poi sapevi che il titolo originale è Good Will Hunting?

Vittima 14

C’è una vecchia canzone dei R.e.m., che adoro, le cui liriche parlano di talune parole particolari. La conosci?

Il mio vicino di casa, quando ero bambino, possedeva un Dobermann.
All’epoca, la razza canina tedesca aveva una nomea di pericolosità, e non era ancora di moda, come invece si usa oggi, lasciar aggredire i propri figli da ferocissimi Pitbull.
Il Dobermann, che non aveva né gli occhi rossi né la bava alla bocca, si chiamava Sansone. Lo so, Sansone in teoria è un alano (senza “h” davanti), ma quanti gatti conosci che si chiamano Pippo? E quanti pastori tedeschi che si chiamano Pluto?
Ecco, il Dobermann, che non abbaiava come nei film comico-polizieschi con Eddie Murphy e Brigitte Nielsen, si chiamava Sansone e, ironia della sorte, aveva una strana predilezione per i postini; un poco come l’alano dei cartoni.

Ops, quasi dimenticavo: Sansone, che era un Dobermann e non un alano, aveva l’ano.
Non ridi?
Dovresti ridere. Sto raccontando, senza risparmiare gioviale ironia, un aneddoto divertente.
Lo so, forse l’averti rinchiusa in una gabbia non è stato divertente; né lo è stato costringerti a mangiare cibo per cani per quattro giorni.
Sono un tipo singolare, un assassino molestatore sadico dotato di originalità; per quanto non sarò mai creativo quanto il mio vicino di casa che, come già detto almeno altre due volte, chiamò il proprio Dobermann, come un alano.
Già che siamo in tema: come sta il tuo ano? Il salsicciotto in gomma, che ci ho infilato con invereconda brutalità due giorni fa, ti disturba?

Sanguini ancora?
Ecco un aspetto che detesto di alcune vittime: l’assenza sangue.
Non è cortese non sanguinare. Come non lo è non piangere, implorare o gridare per il dolore.
Non è semplice ingegnarsi per concepire trattamenti sempre più agghiaccianti.
Mettiti nei miei panni: passo intere serate a riflettere sulle atrocità da destinarti, e non è un compito lieve.
L’idea di fondo, che poi è quasi un asintoto di brutalità, è spingersi verso sevizie il cui ricordo renda insonni e frustranti le notti dei parenti delle vittime.

Per questo, e altri motivi, ti fotografo con tanta cura, perché voglio che i tuoi cari possano passare un’esistenza tormentata dalla consapevolezza dell’inutile, e soprattutto ingiusta, sofferenza a cui ti sto esponendo.
E poi è una questione di rispetto: non posso trattare tutte le vittime alla stessa maniera; devo essere originale, se no diventate solo numeri, semplici statistiche. Sarebbe scorretto.
Non uccido numeri, ma persone, e ogni vittima deve essere ricordata per la modalità singolare in cui è stata tragicamente martoriata.

Comunque, tornando al Dobermann Sansone, avevo letto un libro che cominciava con una premessa particolare: i seriali, intesi come assassini seriali, spesso vivono soli. In fondo per trovarmi sarebbe sufficiente circoscrivere la ricerca a chi abita da solo e ha esperienze in lame e macellazione.
Forse gli investigatori non hanno letto il primo capitolo di quel libro, così come voi 14 vittime.

Ops, che sbadato: non ho concluso il discorso sul cane.
Tornando al Dobermann del mio vicino, ora ti mozzerò un piede e lo farò masticare a un Pitbull che, ironia della sorte, ho chiamato Dobermann.
Detto questo, sii cortese: sanguina, urla, piangi e implora, se no tutta questa violenza è ingiustamente sprecata.

Ti infastidisce se, nel mentre, canticchio una vecchia canzone dei R.e.m. le cui liriche parlano di talune parole particolari? Magari la conosci, fa così:

Vittima 15

Il trucco per salvarsi, in genere, è scritto nel primo capitolo.
Hai mai letto il primo capitolo?
Capita a volte che, per circostanze complesse, il giorno di festa non sia esattamente felice.
Potrebbe anche capitare di ritrovarsi da soli, ma non sempre, a volta Qualcuno, con la “Q” maiuscola, c’è.
Tu c’eri, anche se lui quasi non se ne accorse: fu una giornata dolorosa, una di quelle che tempo dopo, apprezzando le altre, si ricorda come un brutto momento.
A volte funziona come nei film della domenica pomeriggio, con due adolescenti, anche se quasi adulti, che si incrociano, vestiti con camicia e prendisole sottile, di fianco all’unico albero che cresce di fianco a un lago. Ed è tutto così incantato, dal sorriso di lei, al riflesso del sole negli occhi di lui.
A volte però, non sempre.

Quella volta Lei indossava una felpa di Topolino, tanto anni 80, e lui un vecchio maglione che metteva solo a casa, e solo se nessuno lo vedeva; ma lei non era nessuno e anzi, era l’esatto opposto.
Sorrise, anche se non doveva, e provò a farci l’amore, anche se non doveva, e si incazzò, anche se non doveva; anche lui si incazzò, e poi pianse, e poi disse di non aver pianto e poi… e poi Lei fece una promessa intensa e solenne.
E poi non piansero più, smisero di bisticciare e ricominciarono ad amarsi in modo maldestro e inconsueto. C’era così una volta una favola che, per quanto imbarazzante, iniziava senza un “c’era una volta”. Non è il caso però di dare importanza alle liturgie: conta la sostanza in fondo, e questa dovrebbe essere l’unica morale consentita.

Oppure è come quella barzelletta, quella dove chiedi retoricamente quale sia il più accogliente e lussuoso ospizio di Mosca; per la cronaca, è il Cremlino. Così, storielle russe a parte, è di nuovo 7 Gennaio, tanto tempo dopo. Il maledetto albero nei pressi dello scontatissimo lago aspetta una coppia in camicia e prendisole e, probabilmente, almeno una volta a settimana, non è singolare che questo fatto si verifichi.
Gli elementi in discussione nella fatalità dell’esistenza sono come uno straccio intinto di veleno: è forviante, perché magari è messo lì per smacchiare qualcosa e non per ammazzare qualcuno.
Nel mondo reale in fondo, in quello in cui si passano le feste in casa a maledire sui social le feste passate in casa, ci si è trasformati in giudici plagiati dagli stati d’animo.

La promessa?
Giusto, ci fu una promessa.
Venne mantenuta?
In parte sì, anche se in modo intransitivo e penoso.
Ma forse è meglio, la pena è lo specchio di questo periodo.
Ma rilassati, non userò lo straccio intinto di veleno su di te: quello lo uso per smacchiare il sangue dalle mie lame.
C’è dunque chi taglia i rami agli alberi, e chi invece amputa le braccia a partner casuali. A volte ne ha un motivo, altre volte è solo il finale alternativo di una fiaba e, altre volte ancora, è così e basta.
E ora ci starebbe un “e vissero tutti felici e contenti” ma non sarà il tuo caso.
Certo, se avessi letto il primo capitolo, ora ti salveresti.
Peccato.

Vittima 16.

C’è una vecchia storiella russa che, ogni volta che la ascolto, mi fa morire dal ridere: sai qual’è l’ospizio più accogliente e lussuoso di Mosca?

Ben svegliata.
Hai imparato la lezione? Lo spero.
La senti questa? È musica country. Adoro la musica country, rende più farsesco l’omicidio.
Ti piace la musica?
Noi psicopatici in genere adoriamo la classica; oppure l’heavy metal. Il country, in effetti, è molto grossolano.
Potresti appassionarti al country, sei ancora in tempo; se si è ancora vivi, ci si può appassionare a qualsiasi cosa.

Anni fa lavoravo in una fabbrica di cracker, e questo è un fatto singolare, perché io non amo i cracker, non amo le fabbriche e, soprattutto, non amo il lavoro.
Il cibo che inscatolavo faceva schifo, era davvero dozzinale, ma era venduto a un prezzo economico; inoltre ogni scatola conteneva un puzzle plastificato, anche se di soli 20 pezzi.

«Ti diverte la plastificatrice?», mi chiese un giorno il capo.
«Mi affascina», risposi con un sorriso complice.

Ne ho comprata una uguale, e ora plastifico le foto delle mie vittime e le ritaglio trasformandole in puzzle. Ai parenti lascio il diletto di ricomporre la figura originale.
Lo so, sono sadico.
Lo sono sempre stato, sin da piccolo: immaginavo di torturare persone a me care, senza una ragione particolare; pianificavo la morte altrui e non mi dispiaceva; sognavo che mi ammazzassero, ma questo pensiero non mi generava ansia; mi ribolliva il sangue per le mie stesse idee.

Come?
Dovrei andare a farmi fottere?
Sei coraggiosa, sei molto coraggiosa. Anche se stupida in realtà, non hai imparato la lezione e credo che allora ti mozzerò il capezzolo restante.

Una volta ero popolare. Poi non lo sono più stato; capita, capita quando non si è perseveranti, quando si crede di essere insostituibili. Le persone ci dimenticano, anche se non lo vorremmo.
Per questo non smetto di ammazzare.
Sarebbe un errore, verrei dimenticato e non voglio essere dimenticato.

Ora ti dico cosa accadrà.
Mi implorerai di non avvicinarmi, ma io lo farò comunque; poi tapperò la tua bocca con un grosso pezzo di cotone che, anche se ci proverai, non riuscirai a sputare; infine vedrò le tue pupille dilatarsi mentre, ancora da viva, comincerò a mozzarti la prima di quattordici falangi.
Nessuna fretta, hai tante falangi per dita.
Nessuna fretta.
E ora rilassati, non ho ancora cominciato, non amplificare il dolore prima ancora di recepirlo.

Anzi, ora ti farò ridere: sai qual’è l’ospizio più accogliente e lussuoso di Mosca?

Vittima 17

Come è fatto un puzzle? Prendi una fotografia e la spezzetti.
Semplice, no?
E la verità come è fatta? Alla medesima maniera.

Tu sei la Vittima 17, e non ho intenzione di cambiare questo fatto.
Tu sei predestinata: devi crepare brutalmente stanotte, prima di essere sezionata come una vacca.
Non mi interessa se ti sembra ingiusto, perché in ogni caso, qualora mi prendessero, racconterei una storia struggente sulla mia infanzia.
Mi crederebbero, si commuoverebbero e diventerei io la vittima.
E mi farebbero scrivere un libro che, in seguito, diventerebbe un film con Sean Penn, l’ex marito di Madonna.

Ehi, ma quanta premura! Rilassati.
Rallenta.
Non avere fretta, io non ne ho mai.
Tanto non è una questione di coincidenze, è più una coincidenza di questioni.
In generale non ammazzo a caso: sono seriale, in modo che i profiler impazziscano conoscendo tutto di me. Escluso il mio nome.
Sono molto pignolo, e per questo motivo non mi prendono mai.
Sperano che io sbagli, confidano in un mio errore.
Non provano a migliorarsi, aspettano che cada in fallo.
Ma non uccido mai a caso.

Quindi non avere fretta, ti ho scelta da tanto e il nostro non sarà un incontro fortuito.
Non è mai un incontro fortuito.
Sarà semplicemente anonimo.

Lo senti questo odore?
È cuoio.
Io adoro il cuoio.
Se devo strozzare, voglio farlo con il cuoio.
Ha un certo fascino, diciamo. È parte delle liturgie che noi, efferati assassini seriali, seguiamo pedissequamente.
Sai, è divertente scoprire l’interesse suscitato dal mio sistema metodico.
È entusiasmante.
La gente, la massa, il pubblico: persone che passano ore a commentare sui social il mio comportamento.
E il bello è che pensano di conoscermi.

Anche i miei vicini si fidano di me: quando vanno fuori città, mi affidano il loro inutile cane.
È interessante pensare che lo stesso uomo che tratta amorevolmente un piccolo segugio, stanotte macellerà a morte una venticinquenne con i capelli rossi.
Che poi non ho nulla contro le rosse; ma, quando ho iniziato ad uccidere, mi divertiva l’idea che si restringesse la mia follia a questa specifica categoria di vittime.
È divertente la precisione, in particolare quando sminuisce la psicologia.

Comunque, ora tocca a te.
Ma non controllare l’orario, non è più importante.
Non arriverai mai in ritardo.
Tu, 17, non arriverai.