La vicenda di Napster ricorda la trama di un action movie di fantascienza, in una strana lotta tra il Davide del peer-to-peer e il Golia delle major. C’erano dentro tutti gli elementi più avvincenti: la guerra alle oligarchie, la censura, i cavalier serventi. In fondo Napster non ha fatto nulla di nuovo e, per come era concepita la piattaforma, nulla di illegale. Ha solo sollevato un polverone su presunte violazioni del copyright.
Violazione dei copyright! Ma è stata davvero questo il problema? Da anni si vendevano i masterizzatori e i CD vergine, per non parlare poi della audiocassette: che uso credevano se ne facesse prima di Napster? Del resto se vuoi proteggere i copyright non lasci creare generazioni su generazioni di tecnologia che permetta a qualsiasi imbecille di clonarsi un disco schiacciando due pulsanti. A meno che non esista una fetta di mercato che per decenni ti ha portato ingenti profitti anche grazie alla pirateria musicale. In fondo grazie a Napster, l’establishment dell’industria discografica, che per anni aveva taciuto su impianti stereo che ti permettono di doppiare venti volte lo stesso Lp, arrivò a un’importante conclusione: internet è uno strumento sottovalutato. E con “internet” non si intendeva il groviglio di cavi e server che mettevano milioni di utenti in contatto, ma l’utenza stessa, cioè quell’esercito di piccoli bastardi che da dietro la tastiera si erano rivelati molto più intelligenti e organizzati di quanto il mondo esterno fosse pronto ad ammettere. Quello che sembrava un giocattolo per sfigati improvvisamente si rivelò un’occasione commerciale che pochissimi avevano saputo cogliere. E mentre la grandi major erano ancora impegnate a scoprire il vapore, Shawn Fanning e Sean Parker mandavano l’uomo sulla Luna.
Ovviamente si cercò la strada più stupida per contrastare il fenomeno. Si fece la guerra a un sistema che non era circoscritto a poche persone e che di fatto era diventato un modello vincente e imitato in altri frangenti. Nessuno capiva che la demolizione di una grande comunità, esattamente quanto la creazione, richiedesse più fatica di quanto sembrasse. Le major, per poter soffocare l’utenza, dovevano iniziare a rendere quel mondo meno interessante, invece la condivisione cresceva ancora più florida che in precedenza. Vennero istituite tante nuove regole relative al web ma l’accesso era ancora libero: non avevano recintato il giardino proibito, ci avevano solo messo un cartello di divieto d’accesso che nessuno considerava.
È come nel pugilato, puoi vincere ai punti o per k.o.: ma quindici riprese, antropologicamente parlando, potrebbero corrispondere ad almeno due decadi. E infatti, dopo Napster, abbiamo vissuto un lustro abbondante in compagnia di Emule, con utenti che condividevano e scaricavano interi Terabyte di contenuti protetti da copyright. Il peer to peer ha perso vigore solo grazie a Youtube, cioè solo quando si è capito che su internet ci fossero ormai miliardi di utenti. A quel punto si è tornati a un modello noto a tutti, cioè quello televisivo, dove da oltre mezzo secolo i contenuti coperti da copyright vengono trasmessi gratuitamente e a spese del network, ripagati però dagli inserimenti pubblicitari. La guerra di Napster in fondo è stata combattuta da due fazioni: una voleva continuare a imporre il proprio prezzo; l’altra voleva decidere se pagare o meno. L’armistizio è razionalizzato dalle piattaforme disponibili sia in versione Free che Premium. E Napster è infine tornato travestito da Spotify.
Spotify è davvero molto comodo. Ogni tanto penso che potrei pagare qualcosina.
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C’è comunque Sean Parker dietro a Spotify, anche se in maniera marginale.
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Buono.
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è più forte di lui.
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Eh!
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Nel mezzo ci sarebbe stato iTunes, che forse ha trovato il miglior compromesso tra prezzo e legalità. Ovviamente Spotify, a modo suo, ha riportato il Napster a livelli alti.
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Secondo me sono frangenti diversi. La prima utenza di Napster provava ad arrivare alle B-Sides (praticamente introvabili nei negozi), o ai prodotti fuori catalogo. iTunes è la versione moderna del 45giri. Non so se hai notato quanta somiglianza vi fosse tra la prima versione di iTunes e Napster.
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è vero. Se mi ci fai pensare erano quasi uguali. Non nell’intento però, giusto? iTunes ha comunque (sembra strano) un catalogo limitato.
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È la stessa differenza che c’è tra Megavideo e Netflix. Napster (con gli investimenti esterni), doveva diventare una specie di iTunes. Ovviamente è difficile convincere chi scarica gratis a convertirsi ai .99 $ a canzone. Conta che stiamo parlando di accumulo seriale (youtube nascerà nel 2005).
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Giustissimo. Cheapeau 🙂
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🙂 🙂 ma no 🙂
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