Anna – Ventre.

Mi chiamo Anna, ho quarant’anni e non sono coerente: amo a dispetto delle cicatrici; possiedo un gatto nonostante preferisca i cani; adoro la neve ma non so sciare; detesto il sapore del tabacco eppure fumo; anche se conosco tutte le canzoni dei Cranberries, alla fine canto sempre la stessa; sono una rossa che passa spesso per bionda; non sembro tatuata eppure lo sono e insegno la materia meno coerente con la filosofia didattica di un liceo classico. Mi chiamo Anna, ho quarant’anni e racconto la mia storia partendo dalla fine senza tuttavia rivelare il finale.

Mi chiamo Terzo e sono un capitolo nella storia di Anna. La protagonista è una trentacinquenne sposata che possiede un gatto di nome Ercole. In questa città nevica spesso, i tabaccai vendono le sigarette al mentolo e le emittenti indipendenti talvolta passano i Cranberries. Anna sente una mano poggiarsi sulla spalla, sorride malinconicamente e poi sospira osservando l’ombelico nudo mentre una sosia di Brody Dalle le tatua una lumachina sul basso ventre. E, mentre l’inchiostro penetra sotto la pelle, Anna prova dolore, un dolore fisico definibile “impercettibile” rispetto a quello emotivo che la dilania da tempo. Anna coabita con un dolore che cerca di ignorare provando a concentrarsi su come domani imposterà il discorso sulla Termodinamica.

Mi chiamo Anna, ho trentacinque anni e vivo con Ercole, con mio marito e, purtroppo, con nessun altro. Fuori nevica, ma piango; fumo malinconicamente una sigaretta, mentre la radio passa Ode To My Family. C’è mio marito alle mie spalle, mi consola e sancisce la sua presenza; la mia mano scorre dal seno verso il basso ma si ferma all’ombelico perché non riesco a scendere dove percepirei nuovamente il lancinante vuoto provato in questi minuti. Comincio nuovamente a singhiozzare ma non spengo la radio. Non la spengo perché sono stati i miei allievi a dedicarmi la canzone, loro, mie povere adorabili e, in questo momento, inconsapevoli stelline.

Mi chiamo Roberto e sono il marito di Anna. Mia moglie ha trentaquattro anni e in questo preciso istante tiene Ercole in grembo accarezzandolo sotto il collo. In questa città nevica spesso ma il bianco non è il colore predominante nella nostra esistenza, non quanto il rosso almeno: come quello del pacchetto delle sigarette che fumiamo entrambi; o come quello dei mirtilli che qui dentro non mancano mai. Mia moglie adora i baci sulle spalle mentre con una mano le sfioro l’ombelico e con l’altra le accarezzo la vagina. Anna insegna Matematica e Fisica in un liceo classico cittadino, ma stamane non ha parlato di Termodinamica perchè ha preferito offrire un gelato ai propri allievi. I diciassettenni ne hanno intuito il motivo, nonostante lei non abbia esplicitato alcunché, e alcuni tra loro l’hanno anche abbracciata ma, per mia fortuna, i medici nelle prossime settimane non saranno altrettanto arguti da capire che il livido violaceo vicino all’anca non sia frutto di una caduta.

Mi chiamo Anna, ho trentaquattro anni e sono la padrona di un gatto, la moglie di Roberto e … puntini di sospensione. Vivo di colori: come il bianco delle neve di questa città; come l’arancio del filtro delle mie bionde preferite; come il rosso dei palloncini raffigurati sulla copertina di Wake Up And Smell The Coffee; come il celeste che… puntini di sospensione. Sorrido, sorrido pensando ai pesi sempre crescenti che avrò la fortuna di sorreggere sulle mie spalle, sul mio ombelico e sul … puntini di sospensione. Domani sarà complesso interrogare Termodinamica, sarà complicato essere severa con i diciassettenni, anche perché insegno Matematica e non potrò non constatare che la distanza che mi separa da loro sia la stessa che separa loro da … puntini di sospensione. La devozione altrui è scegliere un pomeriggio estivo al parco perché … puntini di sospensione … il compromesso è non fare il bagno perché… puntini di sospensione … “amore” dovrebbe essere perdonare uno schiaffo perché so che lui è nervoso: ma mi sbaglio e dunque via i puntini di sospensione; maledetti merdosi e ipocriti puntini di ‘stocazzo. L’amore è quello che percepirò per nove mesi aspettando ingenuamente e inutilmente che una lumachina bavosa si appresti a rendere meravigliosa la mia miserabile esistenza di colori e violenza domestica.

Mi chiamo Anna, ho quarant’anni e sul collo ho segni che non posso non vedere ma che non voglio coprire. Ora cammino sotto la pioggia con il mio ombrello bordeaux sperando che a giorni arrivi la mia adorata neve. Canticchio When You Are Gone in attesa del mio ragazzo: dovremmo andare a cena ma probabilmente non ci arriveremo mai. È la prima volta che vedo da vicino la canna di una pistola ma vi giuro che avrei preferito che il caso mi dispensasse da questo genere di esperienza.

«Una volta la cantavi per me».

«Una volta avrei avuto paura di morire».

Ma mi manchi quando non ci sei…

Continua domani.

Capitoli Precedenti:

Spalla.

Ombelico

29 pensieri riguardo “Anna – Ventre.

    1. Ciao Cristina. Lunedì ero combattuto perché temevo i contenuti fossero trattati con troppa leggerezza in questo racconto. Poi ho detto “al massimo mi criticano” e ho pubblicato ugualmente. Mi spiace che tu abbia passato qualcosa che assomigli a quanto ho raccontato, lo scopo del gioco è spiegare che spesso le tracce delle vessazioni siano incancellabili anche se apparentemente non si notino. La scelta di un nome semplice come Anna, è quasi un modo per ribadire che far del male al prossimo sia più “facile” di quanto non si possa supporre.
      Un abbraccio forte.

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