#frammento 48

Un passo indietro verso la calcolatrice. Poi uno di sotto. Il notes; penne nere nere che appuntano i miei movimenti da granchio; penne nere nere, un passo da granchio, il notes. Il controluce. Fotografia auricolare rivestita platonicamente dall’interiorità. Ardenti versi riguardo le fedi, e le efelidi, in sfumatura e inquadratura. Corso fotografico sulle tecniche ritrattistiche classiche. Insisto. Corso porco dio, ma la parrocchia cittadina non l’approverà mai. Immaginate un paese con una strada chiamata corso porco dio? E nel frattempo mi ritrovo in ginocchiato; al confessionale, dico. Chiedo perdono per la bestemmia, ma non per “dio” in minuscolo: voglio garantirmi il purgatorio; nell’incertezza, preferisco l’ibrido. Il purgatorio è un poco la Toyota Prius del metafisico post mortem.
Ora alcuni versi riguardo il suicidio: gli amidi, le lacrime, la frittura, corso culinario per la depressione, cucinare bene a cuore spento, corso culo in aria per la vocazione, lessare bene sotto sale, lento, corso le faccio la rima di morso e magari esamino liricamente. Morso al soccorso!

 

 

 

#frammento 47

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C’è una rosa poggiata tra due pagine dello stesso libro, separa.
Separa la prossima pagina da scrivere da quella da strappare.
Strappare un sorriso alla persona sbagliata al momento giusto.
Giusto per non dimenticare il fine ultimo dell’umanità: il tempo.
Il tempo di un caffè e ci siamo innamorati, o forse no, dimenticarsi.
Dimenticarsi di essersi voluti beni, graffiati, baciati, odiati, rìvestiti.
Rivèstiti, che quel cazzo di accento non so dove ficcarlo, maledizione.
Maledizione sull’intera cittadinanza che non ha sacrificato l’oca.
C’è un’orca spiaggiata tra due volumi dello stesso oggetto, impara…
impala il tuo nemico e farlo impugnando un crocifisso, diffondi…
confondi, in fondo non c’è fondo fino in fondo allo stesso mondo…
mondani nostrani sempre più lontani a separare gli esseri simili…
sibili, come i lividi sul collo per chi non si inginocchia a succhiare…
amare, come verbo finale della declinazione di chiavare, chiave di re
reati minori al temo del giustizionalismo privato, o forse anche meno.
Mena! Mena sempre per primo, uccidi il tuo simile, sii umano.
Sangue.
Non mestruo, sangue.

L’amore al tempo dei Blur – So 90’s.

Nel 1994 tutti ballavano su Girl & Boys. Tutti o quasi.  Trovavo ripugnante l’eurodance, che all’epoca andava di moda all’epoca. Corona sembrava una punizione divina, una cazzo di piaga d’Egitto post-litteram. Ricordate Corona? Era un personaggio invadente e la sua prorompenza musicale mi irritava; lei e la merdosa “thisderidimofdenait” che esplodeva ogni 2×3, in qualsiasi meandro mi trovassi. Era sufficiente una radio o una televisione accesa, ed era subito Corona.

Ma poi il liceo. Siamo in quegli inverni che conosce solo chi vive in Sardegna, quando chiamo fredde le giornate con 17 gradi, o comincio a farti le canne prima ancora di assaggiare le sigarette. Ma la droga fa bene, o almeno, a me non dispiace. credo che il sapore della Ganja sia secondo solo a quello della fica, e chi sostiene che faccia male, bhe, che mi metta pure il naso in culo. Ci sono i Blur comunque: Country House e The Universal suonano in sottofondo, al bar, sia quando compro paio di Diesel in saldo. Ovunque vai, ascoltano i Blur.

Cazzo.

Primavara, Juve – Real Madrid 2-0 e 7 nella versione di Greco. Non capiterà spesso, ma i Blur vanno al Festival di Sanrrrrremo, dall’ingessatissimo Pippo Baudo e dall’altrettanto ingessatissima platea di bastardi corrotti, che anni dopo saranno sostituiti da altri ingessatissimi bastardi corrotti.  Suonano per coerenza, i Blur dico, suonano talmente tanto in playback che Graham Coxon si lascia sostituire una controfigura in cartone.

Cartone, come quel mondo che l’Ariston ostenta.

E arriva l’estate, che poi qui in Sardegna è estate anche a febbraio. Perché il mondo sboccia ed è tutto fiori, come Sabrina, che ok, non è fiori, veste sempre di nero, come se fosse nata carta carbone. Dicevo che arriva Sabrina, che i Blur nemmeno sa chi sono, ma adora Bon Jovi. Ahimè, il cotonato Bon Jovi e il suo heavy metal per poppanti. A 15 anni si ha il poster di Bon Jovi in stanza e si spera di diventarne la moglie un giorno; suppongo. Nemmeno il tempo di piacervi che due settimane dopo siete al parco, che fa un sole fottuto e dovreste invece essere a lezione di greco, che mamma non vuole che facciate vela o come dicono a Roma “sega”… non vuole.. Alex Drastico/Enrico Brizzi la chiama fare Fuga: lui fa fuga per il compito di fisica, di Lunedì. ma è Giovedì, e tu fai fuga per la figa… ti piace così.

Ti e le piace. Vi piace.

Vi piace sdraiati, su quel prato che non dovreste calpestare, fumando quelle robe che non dovreste fumare e toccandovi dove non dovremmo toccarci… ops, dove non DOVRESTE toccarvi… In sottofondo due ventenni o poco più, fanno l’università. Non so se la tiri più lui che parla di Klimt o lei che canticchia The Charmless Man come se fosse un brano di quella puttana culona della Pausini. E ne arriveranno altri dischi dei Blur, passeranno ancora in radio. Spesso li preferirai a Gala e la sua maledetta Let A Boy Cry. Sabrina diventerà un ricordo, assieme a tanti altri. Ogni volta che sentirai Always alla radio penserai a lei, scalza, sul letto della sorella, con la spazzola in mano e tu unico spettatore..

Perchè pensi ai Blur adesso?

Semplice, in primis perchè hanno passato Always alla radio; poi perché la sorella di Sabrina adorava Demon Albarn e ne aveva una marea di poster vicini al proprio letto. Per questo ogni cazzo di volta che senti Always pensi ai Blur e non a Bon Jovi.

Frugami.

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Quando infili una mano nei miei pantaloni, cosa cerchi? Forse ti servono delle monete? Osservo quanta perizia usi nel penetrare con le dita in profondità, come se volessi percepire sui polpastrelli la cucitura interna dei miei pantaloni.
Perché frughi nelle mie tasche?
Vuoi forse scoprire il segreto che non voglio condividere? Forse temi ti stia tradendo, e credi di cogliermi di sorpresa? Ma trovi solo polvere, la pallina di uno scontrino e altra polvere. Non nascondo nulla nei pantaloni, tranne la mia eccitazione.
Forse per questo indugi.
Vuoi verificare se sia un tubetto di Polo alla menta oppure il mio pene. Per questo ne tasti la consistenza con pollice e indice, controllando che sia abbastanza duro. Sei gelosa. Sì, secondo te più è duro e meno ti tradisco. Per questo mi metti una mano tra le palle come torno a casa, per questo soppesi il mio scroto: vuoi che lo svuoti solo su di te. Su di te… sudi..
E comunque, se lo assaggi, scoprirai che non sa di Polo alla menta.

Housemartins

Da quanto si racconta, Lei era un fiorellino spinoso.  Era magra e pungente. Ma anche fottutamente carina, e decisamente divertente.
Era una di quelle persone con la battuta facile, ma anche permalosa e infantile a volte. Litigavano per cazzate, come capita spesso quando sei uomo e donna da non molti anni.

Da venti giorni non litigavano più. Lei era strana, silenziosa, spesso assente. Un giorno lui arrivò sotto casa sua e suonò il citofono: nessuno rispose. Ma non si arrese e provò ancora e ancora e ancora…
Era lunedì come oggi e quattro giorni dopo ci fu il funerale.
Quando venne suonata Think For A Minute, degli Housemartins, la sorella sorrise, dicono, mentre tutti gli altri singhiozzavano.

Stavano assieme da quasi un anno, ma lei aveva scoperto della malattia solo venti giorni prima. Quando lui, dopo un controllo in ospedale, le chiese cosa fosse, lei si inventò una bugia che poi lui non dimenticò mai.
Cominciarono così quei venti giorni, quelli in cui lui temeva lei volesse lasciarlo. Sbagliava: non voleva, doveva lasciarlo.

Gli scrisse una lettera. Non era una di quelle robe che leggi nei libri o vedi nei film, no. Gli scrisse quelle parole che vengono solo a chi non si sente ancora in pace e anzi, a chi è profondamente incazzato. A vent’anni del resto, chi diamine è pronto ad affrontare qualcosa di simile?

Lei non lo era.

Lui non la vide.
Gli fu impedito, lo chiese Lei, a genitori e medici.
La videro in pochi negli ultimi momenti e nessuno la vide poi; le sue ultime parole, si racconta, furono semplicemente “spegnete quella cazzo di radio..”. Probabilmente trasmettevano qualche cagata che lei detestava. Era più tipa da Cd, da Cd degli Housemartins, da ascoltare scalza, seduta o sdraiata sul tappeto preferito fumando una Lucky Strike, come nella maledetta canzone di Vasco.

E una volta l’anno sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe compiuto altri tredici anni oltre i venti che aveva già…
Anche le rompipalle lasciano un vuoto, anzi, soprattutto loro, da quanto si racconta.